Il rapporto del CNEL sull’economia italiana fa tremare le vene e i polsi. “Iniziata nel 2007- annota il Rapporto-si è protratta per sette anni alternando fasi differenti ma comunque mantenendo lungo il percorso un percorso tendenzialmente cedente “.
In totale, la nostra economia ha perduto nel periodo intorno a un milione di posti di lavoro. Una batosta da cui sarà difficile riprendersi. Nella migliore delle ipotesi, il nostro mercato del lavoro “potrebbe iniziare a beneficiare di un contesto congiunturale meno sfavorevole non prima degli inizi del 2015. Del resto, il sotto-segretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Del Rio ha annunciato che nel DEF si valuta che alla fine del 2014 si prevede un risultato del meno ‘O,3 di bilancio.
Presentando il Rapporto, il consigliere del CNEL Tiziano Treu ha puntato il dito contro la “zavorra” costituita dal cuneo fiscale che c’è in Italia sul costo del lavoro ricordando che il peso del costo fiscale e retributivo è tra i più alti dell’area OCSE. L’ex senatore ha ricordato che la riduzione del cuneo “per essere efficace” deve avere una durata certa nel tempo e e una consistenza tale da renderla incisiva.”. Secondo il Rapporto del CNEL sul mercato del lavoro nel secondo semestre del 29008 l’Italia contava 23,5 milioni di occupati mentre nel secondo semestre del 2014 questi sono scesi a 22,4 milioni con una percentuale minore di 4,8%. Nell’Unione europea gli occupati nello stesso periodo sono passati da 291 milioni a 214 con una perdita del 2,3%. In controtendenza la Germania che ha registrato un aumento di 2,4 milioni di occupati. In Italia i disoccupati sono quasi raddoppiati passando da 1,7 milioni a 3,1 milioni. Peggio di noi hanno fatto soltanto la Grecia e la Spagna che hanno perso rispettivamente un milione e 3,2 milioni di occupati.
Il problema della disoccupazione, spiega il Rapporto, non incide allo stesso modo in tutti i settori dell’economia: esistono, infatti, “ampie divergenze a livello settoriale, con perdite di prodotto e di occupazione concentrate nel manifatturiero e nelle costruzioni.
Del milione dei posti di lavoro persi durante la crisi, più di 400mila sono nell’edilizia e poco meno nell’industria in senso stretto. La caduta del PIL al Sud è quasi al doppio di quelle delle regioni del Centro-Nord. Si sono perduti seicentomila occupati nelle regioni meridionali e poco di quattrocentomila nel resto d’Italia.
Quanto al potere di acquisto dei salari si è ritornati indietro di quasi un decennio. C’è stata una perdita del 6,7 per cento tra il 2009 e il 2013.
C’è infine una previsione poco ottimistica nella parte finale del Rapporto perché si osserva che l’attuale deflazione che caratterizza oggi il nostro Paese “può aggravare la crisi nei paesi più indebitati (e noi siamo tra questi!) perché i tassi di interesse sono oramai prossimi a zero e quindi a un’inflazione che si riduce corrisponderebbe un livello dei tassi di interesse in aumento in termini reali.”
Difficile essere meno ottimisti di così ma probabilmente è un giudizio ragionevole di cui occorre tenere conto.