Tra il 15 e il 20 agosto del 1993 Cosa Nostra, e altri enti che non sono mai stati individuati, avevano progettato un attentato terroristico contro i presidenti delle due Camere Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini. E’ quello che è emerso nei giorni scorsi depositata ieri dai pm Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia nel processo sulla trattativa Stato-mafia dopo che la nota dei servizi di sicurezza interna dello Stato post- riforma, cioè il SISMI, del 29 luglio 1993 era stata trasmessa dal CESIS al pm fiorentino Gabriele Chelazzi, scomparso dieci anni dopo per un improvviso arresto cardiaco. In un’informativa di qualche giorno dopo, il 4 agosto 1993, il SISMI informava il Ministero degli Interni, quello della Difesa, il Comando Generale dei Carabinieri, la Guardia di Finanza e il servizio esterno di Sicurezza, il SISDE,che la verifica sull’attendibilità della fonte aveva avuto esito positivo.
La notizia, trapelata dall’ex capitale siciliana, non è una grandissima novità per chi ha vissuto, o meglio ha studiato a fondo quegli anni, ma il fatto che i due obbiettivi riguardassero i due politici che, in quel momento, rappresentavano il parlamento, nei suoi due rami fornisce qualche indicazione su due elementi importanti dell’intera vicenda come del momento in cui si colloca, all’interno della storia dell’Italia repubblicana, l’offensiva dei corleonesi, guidati allora da Bernardo Provenzano dopo l’arresto di Salvatore Riina, nel gennaio 1993. Nell’estate dell’anno prima, appena due giorni prima della nota del SISMI, le bombe di Cosa Nostra avevano gettato il Paese in una situazione di smarrimento notevole con gli attentati terroristici, compiuti nelle chiese romane del Velabro e di San Giovanni in Laterano.
I documenti fanno parte di un procedimento che, a Firenze, è stato archiviato ma che i rappresentanti dell’accusa hanno creduto di dover rileggere all’interno di quella strategia della tensione che segnò il passaggio dalla cosiddetta prima alla cosiddetta seconda repubblica (è noto che una simile datazione, adottata dai media divide la storia tra periodi in cui la costituzione rimane, più o meno al di là del procedente degrado, la medesima!). Sempre da quel carteggio, emerge che il 6 agosto 1993 il CESIS convocò un vertice al quale parteciparono i vertici delle forze dell’ordine e si concluse con la redazione di un verbale nel quale fu giocoforza ipotizzare matrici diverse degli attentati: Cosa Nostra, il terrorismo internazionale, cellule anarchico-insurrezionali. Un quadro confuso che venne a sua volta smentito dalla relazione che l’allora capo della DIA, Gianni De Gennaro, firmò di suo pugno il dieci agosto 1993 ipotizzando, per la prima volta, una trattativa tra le cosche mafiose e lo Stato sul nodo cruciale dell’applicazione ai detenuti mafiosi del 41 bis.
Sempre agli atti del processo di Palermo, è finito anche un verbale di interrogatorio del leader massonico ed ex capo del Grande Oriente d’Italia, Giuliano Di Bernardo, il quale racconta che, dopo l’espulsione di Gelli dal Grande Oriente, si presentò a lui un certo Urbini che gli disse:” Gelli è disposto darti i nomi dei veri componenti della P”, diversi ovviamente da quelli di cui sono stati pubblicamente forniti i nomi, e questo ti dà la possibilità di ricattare un bel poco dell’Italia che conta.” Ma il massone, a quanto ha detto ai pm, non accettò l’offerta. Insomma il processo di Palermo, che va avanti con le note difficoltà, dimostra di essere per molti aspetti un crocevia della storia nascosta più recente del Paese.