Antonio Ingroia, l’ex procuratore di Palermo che, nel 2000, ormai quattordici anni fa, diede inizio all’indagine sulla telefonata sul segreto che il consigliere giuridico del Capo dello Stato, Loris D’Ambrosio, in una lettera inviata il 18 giugno 2012 al presidente della repubblica, gli rivelò parlando di “indicibili accordi” tra lo Stato e Cosa Nostra stipulati nell’anno drammatico delle stragi in cui prima Giovanni Falcone, quindi Paolo Borsellino persero la vita con le donne e gli uomini delle scorte che sempre li accompagnavano. Ingroia incomincia il suo articolo, pubblicato ieri da un quotidiano di opposizione della capitale, con due domande non facili.
La prima è legata a Nicola Mancino, l’ex presidente del Senato e vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura e suonerebbe pressappoco così: “Perché quando il senatore Nicola Mancino (oggi imputato di falsa testimonianza al processo di Palermo sulla trattativa) la cercò al telefono direttamente, e anche quando la cercò indirettamente, tramite il consigliere D’Ambrosio, fece intendere a Mancino che avrebbe assecondato il suo disegno di sottrarre alla procura di Palermo la direzione dell’indagine sulla trattativa? Lo fece per non dispiacere a un vecchio amico e collega o lo fece piuttosto per una superiore ragione di Stato? E quale di grazia era questa Ragione di Stato? Peccato – conclude Ingroia – che questa domanda oggi sarebbe inammissibile dopo che, signor Presidente, lei ha sollevato un conflitto di attribuzione contro la procura di Palermo ottenendo dalla Corte di avere ragione.”
La seconda domanda è legata, secondo Ingroia, alla prima: “Perché non ritenne di prender contatto con i pubblici ministeri di Palermo per informarli dei contatti impropri attraverso i quali Mancino cercava di interferire sulle indagini in corso? E infine: ed è questa la domanda più difficile e impertinente che viene dall’ex sostituto siciliano: “E’ certo che il tentativo di sottrarsi alla testimonianza dichiarandola preventivamente inu
tile sia stato un modo per aiutare la ricerca della verità? E infine: “Perché non ha mai espresso solidarietà ai magistrati del pool palermitano “minacciati” dalla mafia, da ultimo il pm Antonino Di Matteo, destinatario di recenti e ripetuti messaggi di morte da parte dell’ergastolano Salvatore Riina.
Saranno domande dure e impertinenti ma utili-almeno così penso-a far passi avanti in quella difficile e spero non impossibile cammino verso la verità di quel terribile biennio della storia d’Italia.