Rino Giacalone sotto processo per avere applicato l’assunto di Peppino Impastato a proposito di mafia e di pezzi di merda
Ieri pomeriggio al nostro collaboratore Rino Giacalone (nella foto) è stata notificata la citazione diretta in giudizio per il reato di diffamazione a mezzo stampa. La prima udienza dinanzi al giudice monocratico del Tribunale di Trapani è fissata per il prossimo 5 febbraio. L’articolo incriminato fu pubblicato il 3 aprile 2013 sul blog Malitalia. E poi ripreso anche da altri siti. Giacalone scriveva della morte del noto capo mafia di Mazara del Vallo, Mariano Agate. Un nome che sin dagli anni ’80 ha fatto comparsa in tutti i più importanti atti giudiziari riguardanti le malefatte della mafia siciliana, episodi, delittuosi, stragisti e non solo, per i quali Agate ha ricevuto nel tempo pronunce di condanna, a cominciare dall’ergastolo, diventate via via definitive. Rino Giacalone, facendo riferimento all’assunto diventato famoso, sottoscritto a suo tempo dal giornalista di Cinisi, Peppino Impastato, allorquando questi indicò la mafia come “una montagna di merda”, concludeva, provando che Agate non era altro che una parte di questa montagna, era stato perciò un “gran pezzo di m…”, scrivendo testualmente l’ultima parola, e al lettore non sfuggirà certo di quale parola si possa trattare.
“Nella citazione diretta in giudizio – dice Giacalone – leggo che dovrò subire un processo per il reato 595 del codice penale, ossia per diffamazione, leggo che dovrà subire questo processo per avere offeso la reputazione del citato Agate Mariano. Ho deciso di regalare quanto prima un vocabolario al magistrato che ha disposto il giudizio, ma non solo a lui”.
Perchè un vocabolario?
“A scanso di equivoci – risponde Giacalone – il procedimento penale ha preso il via da una querela presentata dalla signora Pace Rosa vedova Agate, difesa dall’avvocato Celestino Cardinale. Il vocabolario perchè forse una lettura più attenta del vocabolario della lingua italiana poteva far scorgere alla querelante prima, al suo difensore dopo e infine al pm che nel caso di Agate mi sembra impossibile che si possa parlare di reputazione offesa. Nel vocabolario Treccani alla voce reputazione si legge: reputazióne (o riputazióne) s. f. [der. di reputare]. –1. letter. Il fatto di reputare, la stima, il favore che si concede a uno: [la plebe] volse la sua riputazione a Mario, tanto che la lo fece quattro volte consule (Machiavelli). 2. Il fatto di essere reputato, la stima e la considerazione in cui si è tenuti da altri: come avvocato gode buona, ottima r.; si è procurato una pessima r.; qui in paese ha cattiva r.; r. d’avaro, d’incostante; è una ditta di solida reputazione. Assol., sempre in senso positivo, buono: debbo difendere la mia r.; quelle calunnie gli hanno fatto perdere, gli hanno rovinato la r.; parea che ti scemasse l’onore e la riputazione (Leopardi); è la passione che ho della riputazione del casato che mi fa parlare (Manzoni). Stima, favore, lesi? Resto basito”.
La vicenda divenne nota nei mesi scorsi allorquando con un pubblico documento i familiari delle vittime della mafia, anche i familiari di quelle vittime per le quali Agate ha subito pronunciamenti di condanna, hanno espresso solidarietà a Rino Giacalone. Questo il testo: “Noi familiari di vittime della mafia manifestiamo stupore e indignazione per l’ultima paradossale esibizione di persone legate al mondo di Cosa Nostra. Ci riferiamo alla decisione della signora Rosa Pace, vedova del noto capomafia Mariano Agate, deceduto il 3 aprile 2013, la quale, querelando per diffamazione a mezzo stampa il giornalista Rino Giacalone, pretende di tutelare la buona reputazione del marito, un criminale condannato a vari ergastoli per i suoi truci delitti coinvolto in fatti di sangue disumani. La querela si riferisce ad un articolo in cui il giornalista, dopo aver ricapitolato la carriera del boss, ha espresso con le parole colorite proprie del linguaggio comune il disprezzo che tutti noi proviamo per le sue imprese sanguinose. Parte di Rino Giacalone incriminata è la seguente: “Le stragi dove furono uccisi Falcone, Borsellino, quelle di Roma, Milano e Firenze, portano la sua firma, così come le guerre di mafia più violente tra Trapani e Palermo. Oggi bisogna dire che la sua morte toglie alla Sicilia la presenza di ‘un gran bel pezzo di merda’ “. La frase è forte, non è elegante, ma non può essere considerata offensiva, poiché esprime una opinione fondata sui dati di fatto e di diritto. Come può danneggiare la reputazione di un criminale riconosciuto colpevole di omicidi truci e di vere e proprie barbarie? Di un uomo al quale il vescovo di Mazara del Vallo Mons. Mogavero ha rifiutato i funerali religiosi, con ciò attirandosi da parte della stessa signora Rosa Pace l’accusa di “fare propaganda giustizialista”, di aver fatto dalla sua famiglia “carne da macello”? Invece di offendersi, la signora Rosa Pace, dovrebbe mettersi nei nostri panni, nei panni dei familiari delle vittime. Queste famiglie, non la sua, hanno il diritto di lamentare di essere state trasformate ingiustamente in carne da macello, Come carne da macello sono stati uomini, donne e bambini strappati alla vita per responsabilità di quel capomafia, alcuni perché servivano fedelmente lo Stato, altri perché erano casualmente nei luoghi dove è stata seminata la violenza. La signora Pace abbia la dignità di prendere le distanze dalle imprese criminali del marito e ritiri questa querela che ci offende. Se non lo farà, la magistratura dimostri che esiste una giustizia giusta, pronta e incontaminata. Lo dimostri archiviando subito questa pretesa di difendere una buona reputazione inesistente, questo tentativo di abusare della giustizia per indirizzare messaggi intimidatori a Rino Giacalone, al quale esprimiamo solidarietà, e a tutti giornalisti che, come lui, di fronte all’indifferenza generale hanno il coraggio di di ricordare gli atroci crimini di cui si sono macchiate determinate persone, e di dire che i cosiddetti uomini d’onore, in realtà, non hanno nessun onore”. A firmare la lettera aperta furono Margherita Asta, Francesco Bommarito, Anita Bonfiglio, Lucia Calì, Gabriella Carfora, Antonio Castelbuono , Maria Irene Ciccio Montalto, Nando dalla Chiesa, Ferdinando Domè, Fabrizio Famà, Pino Fazio, Marisa Fioran, Chiara Frazzetto, Michele Giordano, Teresa Giordano, Franco La Torre, Salvatore La Porta, Teresa Lacovara, Paolo Marcone, Viviana Matrangola, Angelo Mizzi, Matilde Montinaro, Filippo Palmeri, Michele Panunzio, Mariacarmela Rechichi, Liliana Riccobene, Carla Rostagno, Alberto Spampinato, Alessandro Tedesco, Piera Tramuta, Salvatore Borsellino, Maddalena Rostagno , Mario Catalano, Flavia Famà, Mara Fonti , Piero Invidia, Daniela Marcone, Federica Montalto, Annarita Rechichi, Tina Montinaro, Claudio Fava e altri familiari.
L’azione giudiziaria è però andata avanti.
“Si, oggi approda a processo. Il pm tentò anche una conciliazione, io però per scelta non mi presentai, la vedova Agate confermò la querela. Indubbiamente concordo con i familiari che torno a ringraziare per la loro solidarietà, la frase è forte e poco elegante, ma nessun articolo del codice penale punisce l’ineleganza. Mi chiedo quale reputazione da vantare poteva avere il mafioso condannato Mariano Agate e quale reputazione voglia difendere la sua vedova. Non ritengo che nel caso di Agate ci possa mai essere una reputazione da difendere. I mafiosi non hanno reputazione ma sono o sono stati solo degli sporchi assassini, violentatori di donne e uomini, violentatori di questa terra bellissima”.
“Come mi ha insegnato il mio direttore Roberto Morrione si fa quel che si può, accada ciò che può… la mia difesa è scrivere…cercando di parlare all’ umanità delle persone oneste…anche con i toni forti”.