Il pedagogista, tra i padri del sostegno scolastico, diventa professore Emerito dell’Università di Bologna. “C’è un’eccessiva rincorsa alla specializzazione, a trovare troppo in fretta la soluzione a problemi complessi. E c’è chi ci lucra”. “Certi insegnanti in alcuni casi sono perfino inutili”
BOLOGNA – “Non venga, oggi. Non c’è nulla da vedere. Più di me avrebbe meritato di diventare ‘emerito’ il bidello Cesarino Machiavelli. Lui sì che ne ha risolti di problemi, sempre con il cacciavite in mano, sempre a aggiustare banchi e cattedre in via Zamboni al 34… all’Università della vita”.
Sono passate poche ore da quando è stato riconosciuto come “professor Emerito”, il più alto riconoscimento che l’Università di Bologna tributa ai suoi docenti, ma non ha perso la voglia di provocare Andrea Canevaro, 75 anni, pedagogista di fama e amatissimo da maestre e insegnanti di sostegno. Una vita accanto alle persone disabili, alle loro famiglie, in prima fila per l’integrazione e il lavoro. Anche oggi, quando la disabilità non è più da tempo tema all’ordine del giorno, dei media e non solo. “Vedo un’eccessiva rincorsa alla specializzazione, alla voglia di trovare troppo in fretta la soluzione a problemi che sono invece complessi. Anche l’abuso che si fa della parola ‘autismo’ al posto di disabilità, in questo periodo, va a mio parere nella stessa direzione… Troppa voglia di semplificare. E su questo c’è anche chi ci lucra”.
Dopo anni passati a Bologna, Canevaro oggi è tornato a vivere e lavorare nella sua Romagna, dove ancora in questi giorni sta tenendo un laboratorio sui mediatori. “Gli insegnanti di sostegno, i mediatori, sono come delle protesi; ma io da sempre preferisco i mediatori umani, attori di quello che chiamo ‘sostegno di prossimità’. E dico di più: questi insegnanti specializzati non sono la soluzione per tutto, anzi in alcuni casi sono perfino inutili. Il sostegno deve essere ‘evolutivo’, deve scomparire mano a mano che la persona cresce, per dare la massima possibilità di agganciarsi alla realtà. Non tutto è risolvibile con un insegnante specializzato, bisogna coinvolgere i compagni, la famiglia, la scuola, gli altri insegnanti…”.
Canevaro parla di “involuzione dell’integrazione verso la specializzazione”, lui, padre della pedagogia speciale da sempre terrorizzato da schemi rigidi e confini troppo definiti. La sua è una pedagogia in movimento, liquida, includente: “L’autismo andrebbe sempre declinato al plurale, e lo stesso vale per quella sigla, dsa (disturbi specifici dell’apprendimento, ndr) che vuol dire tutto e niente. Qui invece parliamo di persone che sono ognuna diversa dall’altra”. Il suo pensiero, poi, non coincide sempre con quei tanti progetti sul “dopo di noi” in questi anni messi in campo da famiglie e fondazioni preoccupati per il futuro dei loro figli. “Sono opere meritevoli – continua il professore, che in passato è anche stato delegato in ateneo per le persone disabili – ma io preferisco dedicarmi all’oggi, all’adesso: capisco le preoccupazioni di tante famiglie, ma la prima cosa che devono fare è quella di mettere da parte il loro essere genitori, devono cercare di essere di supporto ai loro figli senza continuare a fare il babbo o la mamma. E’ questa è la prova più difficile”.
Quarant’anni di insegnamento sono tanti. Cosa è cambiato in tutto questo tempo? “Da un certo punto di vista sicuramente c’è stata una forte sensibilizzazione del grande pubblico sui temi della disabilità, abbiamo vissuto una maggiore integrazione e una certa tranquillità nell’affrontare questi cambiamenti. Dall’altro lato vedo un grande frazionamento, che non mi piace affatto. Un obbligo al fare, ad avere risultati da quantificare, un approccio che non va a mio parere nella giusta direzione quando affida al privato quello che potrebbe fare il pubblico. Insomma, per dirla in parole povere vedo troppa impresa sulle spalle della disabilità”. La soluzione, per Canevaro, sta nel ‘welfare di prossimità’: “Una spazio dove mettere insieme risparmio e qualità, per combattere la speculazione e puntare su investimenti diversi. La denigrazione del servizio pubblico che è stata fatta in tutti questi anni ha fatto solo del male – conclude il professore emerito – Le strade da battere sono altre”. (ms)