Partiamo dalla fine, dall’immagine più bella. Sotto il ministero dello Sviluppo Economico diversi gruppi di operai, quelli della Jabil di Marcianise, quelli della Trw di Livorno e quelli della Tk-Ast di Terni, si ritrovano fianco a fianco. Sono tutti lì per difendere il proprio lavoro e la propria dignità. E sono applausi reciproci, abbracci, cori e attestati di solidarietà. Ecco, teniamoci questa di immagine di quel mercoledì 29 ottobre. Teniamocela stretta perché il resto della giornata non fa onore al nostro paese.
Nessuno se lo sarebbe aspettato fino a un momento prima. Il presidio sotto l’ambasciata tedesca dei circa 600 operai ternani, arrivati a bordo di 10 pullman e con mezzi privati, si era svolto in assoluta tranquillità. Avevano scelto l’ambasciata perché il governo tedesco non può restare a guardare mentre ThyssenKrupp mette in ginocchio un intero territorio, oltre che il sistema siderurgico nazionale. Ma quelli dell’ambasciata non sono sembrati molto sensibili. Il comunicato stilato dai diplomatici tedeschi, dopo un breve incontro con una delegazione della Rsu di Ast, è risultato talmente scarno da apparire chiaramente provocatorio (sostanzialmente: “C’è stata una protesta, ne abbiamo preso atto”) e la reazione, comprensibile dei lavoratori è stata: non possiamo andarcene così, spostiamoci sotto il ministero.
Qui vale la pena aprire una parentesi per fare chiarezza una volta per tutte. La teoria, utilizzata a giustificazione delle cariche, che i lavoratori avrebbero voluto occupare i binari di Roma Termini, non sta in piedi, ma nemmeno un po’. Primo: le cariche sono avvenute in una zona della piazza che è esattamente dalla parte opposta rispetto alla direzione da prendere per recarsi in stazione. Secondo: appena deciso di spostarsi da piazza Indipendenza in corteo i lavoratori hanno incominciato ad intonare “Ministero, Ministero!” (lo si sente bene in questo video pubblicato da Rassegna.it , perché è lì che dal primo momento avevano deciso di recarsi, visto che era in corso l’incontro tra il ministro Guidi e l’ad di Tk-Ast Lucia Morselli.
Fatto sta che la polizia ha sbarrato la strada e un attimo dopo sono partite le manganellate. E a prenderle sono stati certamente i lavoratori, ma anche, forse soprattutto, dirigenti sindacali, impegnati, come sempre, a fare da cuscinetto e a tentare di aprire una mediazione per consentire ai lavoratori di raggiungere pacificamente il loro obiettivo. Ma non c’è stato tempo. Maurizio Landini a contatto con gli scudi della celere e poi manganellato l’hanno visto tutti. Poco distante c’era Gianni Venturi (Fiom nazionale) a terra con la testa spaccata e poi in ambulanza fino all’ospedale. Rosario Rappa (segretario della Fiom nazionale) ha riportato un brutto taglio sopra l’orecchio, mentre è andata peggio a Cristiano Costanzi (segretario della Fillea Cgil di Terni) tornato a casa con 20 punti di sutura alla testa e alla bocca. E l’elenco potrebbe proseguire.
“La cosa più difficile sarà spiegare a mia figlia di 7 anni perché ho la testa spaccata”, commentava uno dei feriti a caldo. E trovare spiegazioni effettivamente risulta difficile. Chi conosce i lavoratori ternani e il loro sindacato sa che si tratta di persone per bene, che non cercano lo scontro, ma soltanto risposte e risultati concreti per la propria comunità. Perché se chiudono le acciaierie chiude Terni, questo deve essere chiaro. E il piano industriale di Thyssen, le continue provocazioni, con gli effetti già evidenti sull’indotto, oltre all’incapacità di incidere del governo (ora saranno da verificare gli ultimi impegni presi, ma l’esperienza induce a diffidare), conducono purtroppo in quella direzione.
Però, qualcosa da mercoledì è cambiato. Quell’abbraccio tra operai sotto il ministero e poi quello sempre più grande arrivato nei giorni successivi dai luoghi di lavoro, dalle strutture sindacali, dalle Camere del Lavoro di mezza Italia, dalle piazze, dagli scioperi, oltre che da migliaia di cittadine e cittadini che hanno voluto esprimere la loro vicinanza, ci restituisce l’immagine di un paese vitale, che si ribella alle ingiustizie e che è pronto a mobilitarsi per questo. Un’immagine che avevamo già visto in quel milione di persone che hanno riempito piazza San Giovanni il 25 ottobre. Un’immagine che – ne siamo certi – rivedremo presto se le cose non cambieranno davvero.