BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Il mistero dei Desaparecidos in Ecuador

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Secondo la Fiscalìa (Procura) di Quito, sono 17.550 le denunce ufficiali che riguardano la scomparsa di cittadini ecuadoriani dal 2011 al 2013. Due anni terribili, che registrano un aumento medio del 43% nell’anno passato. E, a conferma dei divari esistenti nel Paese, nonostante le innegabili riforme sociali promosse dal Presidente Rafael Correa, in alcune provincie i numeri sono disastrosi: quella di Pichincha, il cui capoluogo è anche la capitale del Paese, Quito, detiene il triste primato, con 5.656 casi. Mentre le percentuali d’incremento delle sparizioni, raggiungono nel 2013 vertici stellari; Imbabura il 218%, Los Rios 329%, Santo Domingo 139% ed Esmeraldas sulla costa, il 123%. Queste province confinano con Pichincha, e il fatto non è casuale. Quito è anche la capitale dei Desaparecidos.

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Terminal Terrestre Quitumbe; inizio e fine della speranza

Per arrivare a Quitumbe, capolinea di tutti i trasporti extraurbani, che dalla capitale viaggiano verso il Sud della Sierra andina e l’Amazzonia, esistono due linee bus, che arrivano e partono dall’aeroporto internazionale Mariscal Sucre: la verde, è più breve, arriva a destino in un ora e un quarto, percorrendo el Corridor Periférico Oriental, che costeggia le colline a est della città. La linea azul (blu) passa invece per la parte occidentale di Quito, attraversando le periferie poco distanti dal vulcano Pichincha. E di ore ce ne vogliono quasi quattro.

Scegliamo quest’ultima per puro caso. Già dopo una mezz’ora, l’autobus si riempie, in maniera inverosimile, di famiglie indios dalla provincia omonima, in cerca di migliore fortuna verso il crocevia del terminale; gli uomini proveranno a essere assunti da qualche caporale del lavoro nero; in alternativa, uomini e donne, ad aprire un baracchino di cibarie, e tessuti artigianali, per i passeggeri in transito. La crisi dell’artigianato tessile ha colpito anche il mercato Otavalo, nella provincia di Imbabura, il più importante dell’Ecuador, e uno dei più noti dell’America Latina. Oggi l’afflusso dei visitatori, è concentrato soprattutto nel Mercado de Animales il sabato, quando i venditori di lama, alpaca, vacche, cavalli e cani, invadono il piazzone con la loro merce vivente, che tra muggiti, nitriti e latrati, attira ancora l’attenzione di una larga folla di curiosi e turisti.
Però non si mangia un giorno solo a settimana, e sono in tanti che emigrano nella capitale; Quitumbe è lo snodo inevitabile. Il salario medio in Ecuador si aggira intorno ai 370 dollari mensili, ma scuole e ospedali pubblici sono gratuiti, e aiuti economici alle famiglie più disagiate, sono previsti nel Bono de Desarrollo Humano, un fondo sociale istituito per le madri povere e gli anziani a basso reddito, che attinge dai proventi del petrolio.

I problemi logistici, che affliggono le numerose comunità indigene sparse lungo il Paese, dalla Sierra andina, all’Amazzonia, fino alla costa, e gli ostacoli culturali, a causa della diffidenza verso il governo centrale di etnie spesso arroccate nelle loro tradizioni, impediscono ai programmi sociali di estendere i benefici a tutti i cittadini della Repubblica. E questo porta all’emigrazione e allo sfruttamento da parte del lavoro nero, soprattutto nei confronti de gli indios, i quali spesso sono reclutati a cifre che corrispondono a un terzo del salario medio nazionale. Incontriamo Manko, (nome Quichua per condor) che si porta appresso tutta la famiglia, 4 bambine tra i due e i sei anni, un maschietto di cinque, la moglie, e due enormi valigie, con dentro tutti i loro averi. Il corridoio è così intasato, che prendiamo sulle ginocchia le bambine più piccole, per consentire il passaggio agli altri passeggeri. Arriviamo a Quitumbe dopo un viaggio da incubo, verso la sera inoltrata, e lì salutiamo Manko e la sua famiglia, già da stanotte in cerca di un lavoro. L’enorme terminale non è solo il punto di raccolta di tanti disperati.
E’ anche, e soprattutto, la bacheca, permanente ed effettiva, di quello che è il mistero più inquietante dell’Ecuador, così come di gran parte de l’America Latina: los desaparecidos, le persone che ogni anno, scompaiono a migliaia lungo tutto il Paese, con una concentrazione maggiore proprio nelle provincie di Pichincha e Imbabura, e nella capitale Quito. Senza lasciare traccia.

Una lista infinita

La stazione della polizia turistica a Quitumbe, è sita proprio al centro del terminale, al pianterreno. Sulle sue ampie vetrate, sono esposte le foto di circa una cinquantina di desaparecidos, di tutte le età, relative solo ai mesi di dicembre e gennaio. Compaiono bambini di pochi anni, o addirittura mesi, adulti in camice ospedaliero, anziani, e diverse ragazze di bell’aspetto.
Siamo ricevuti dal tenente Luiz (nome di fantasia) il quale sostiene, la maggior parte degli scomparsi, essere persone con problemi mentali, che fuggono dalle proprie famiglie, o internati di ospedali psichiatrici. Il poliziotto quantifica, in misura del 70% circa, la percentuale correlata a questi casi. Un numero pesantemente contraddetto dai viaggiatori che interpelliamo in seguito, i quali concordano sul fatto che, la maggior parte de gli scomparsi sono bambini e ragazzi rapiti per il traffico di organi, diretti soprattutto al mercato nord americano ed europeo, e adozioni illegali, nel caso di bambini piccoli e infanti, destinati a coppie sterili, e benestanti, negli Stati Uniti e Sud America in genere. Mentre le ragazze giovani, sarebbero preda dei trafficanti umani, parte dei cartelli misti di Ecuador e Colombia. Anche l’Ong AAE (Asylum Access Ecuador) ci conferma in via ufficiosa questa tendenza, che riguarda sia cittadine ecuadoriane, che colombiane, rifugiate nel Paese.

Solo riguardo i bambini, nel primo semestre del 1999, ne scomparvero 127 a Quito, 200 a Guayaquil, 35 a Rio Bamba. Queste cifre si raddoppiarono alla fine dell’anno. Come citato in apertura, nel 2013 le sparizioni in genere hanno registrato un incremento doppio, triplo e addirittura quadruplo, secondo la provincia in questione, rispetto ai dati di fine anni ’90.
Casi clamorosi d’infanti, sottratti anche all’interno dei reparti di maternità, sono stati registrati negli anni passati, come quello avvenuto all’ospedale Isidoro Ayora de Quito, durante il regime di Jamil Mahuad, quando ancora il servizio sanitario era a pagamento. Una povera donna diede alla luce due gemelli; al momento della richiesta del saldo parto, i sanitari furono avvicinati da una sconosciuta, che si offerse di pagare, in cambio del trasferimento degli infanti in altra sede. Alle due donne, fu consentito di allontanarsi con i bambini, senza che i medici si facessero scrupoli di conoscere tale destinazione.

I gemelli furono poi sottratti dalle braccia della madre, durante il tragitto delle donne verso un hotel. Dopo l’approvazione della legge 146, nel marzo 2014, che sancisce la responsabilità penale per medici e personale sanitario, nei casi di accertata malpratica professionale, allo stato attuale, il rischio di imbattersi di nuovo in episodi simili, è drasticamente ridotto; così come sono diminuiti i casi legati a minori rapiti ai fini dello sfruttamento del lavoro minorile fuori dai confini dell’Ecuador; nel passato, sono avvenuti di frequente, soprattutto con destino Venezuela; la stretta collaborazione tra i due governi, ha consentito di monitorare questi traffici, e limitarli.

Purtroppo le statistiche degli altri casi in aumento, sminuiscono in parte i successi ottenuti.
Secondo Renato Cevallos, capo della Polizia Giudiziaria, il balletto contradditorio delle cifre, e delle percentuali, è stato causato dal fatto che, fino al 2008, non esistevano in Ecuador statistiche ufficiali a riguardo.
Dai primi del 2009, la polizia ecuadoriana è stata unificata virtualmente nel portale dei Latinoamericanos Desaparecidos, con lo scambio cruciale di dati, foto e nominativi, che riguardano circa 10.000 persone scomparse nei territori di Ecuador, Belize, Brasile, Cile, Colombia, Costarica, Haiti, Messico, Panama e Perù.
Questo sistema informatico, permette almeno un monitoraggio più accurato.
E di limitare i falsi allarmi, che contribuiscono ad aumentare il panico generale.
Nei mesi scorsi, è stata indetta dall’Anadea (Asociaciòn Nacional de Desaparecidos y Asesinados Ecuador) una marcia di protesta che, da Plaza Grande nel centro storico di Quito, si è diretta verso la Fiscalìa General del Estado.

La Presidente Susana Valencia, insieme ai rappresentanti delle famiglie, ha veementemente messo sotto accusa la Procura, perché dall’incontro, avvenuto lo scorso anno, con il Capo di Stato Rafael Correa, non è stato risolto un solo caso, relativo alle persone scomparse.
Mancanza di coordinazione su un territorio così articolato come quello dell’Ecuador, e scarso interesse de gli investigatori che, a detta delle famiglie, sembrano rassegnati allo status quo, sono le motivazioni della protesta.
La Commissione interna alla Fiscalìa, che si occupa della tutela dei diritti umani, ha ribattuto di aver creato un’unità speciale con cinque Commissari che devono prendersi carico di tutti in casi pendenti, a Quito e provincia di Pichincha.

I familiari hanno anche sollecitato il miglioramento della banca dati, che dovrebbe essere estesa in uso obbligatorio, a tutti gli ospedali, obitori, centri di accoglienza e disintossicazione, e terminali di trasporto urbano ed extraurbano, tra i quali il Quitumbe rappresenta il caso più clamoroso. Quindici giorni dopo l’incontro con la Procura, è stato ritrovato incolume nei dintorni della capitale un giovane di vent’anni, Juan Sarzosa, che era sparito di sua spontanea volontà. E’ il primo caso, risolto felicemente nel 2014.

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Se le decine di migliaia di persone fatte sparire dalle dittature militari di Pinochet e Videla, instaurate in Cile e Argentina negli anni 70’, furono il frutto avvelenato di una deriva politica, i desaparecidos ecuadoriani sono invece un’emergenza sociale, all’interno di uno Stato democratico che ha nel welfare il suo fiore all’occhiello. Le ricerche sono il problema chiave, su un territorio particolare come quello dell’Ecuador, che comprende etnie dislocate sulle pendici remote di vulcani come il Chimborazo (6.268 mt. il più alto al mondo), o sparse lungo la giungla amazzonica, così come a 12oo km dalla costa, quale è il caso delle isole Galàpagos; anche a causa delle differenze culturali e dello spirito di autodeterminazione, che animano le variegate comunità del Paese.


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