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“Il mio Pasolini è un uomo moderno di grande chiarezza mentale”. Intervista a Abel Ferrara

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“Pier Paolo Pasolini era un uomo d’azione ecco perché è e sarà sempre attuale, nonostante sia morto da 40 anni”. Abel Ferrara ha presentato il suo “Pasolini” in Friuli. “Non parlo del film se non l’avete visto, ha esordito sul palco del Cinema Visionario di Udine. Vi aspetto fuori dopo la proiezione. Intanto parlo con chi ha visto il film”. Una manciata di persone circondano il regista newyorchese con radici italiane, autore scomodo di film belli nella loro durezza sferzante.

Come ha scelto di raccontare così Pier Paolo Pasolini?
“Ho deciso di raccontare il suo ultimo giorno di vita perché dovevo trovare un focus su di lui, ecco come ho scelto, e a oggi penso che sia la cosa giusta. Impossibile fare un film su di lui, avrei impiegato 9 anni e alla fine sarebbe stata un’opera vecchia. Che senso avrebbe avuto raccontare la sua vita da bambino accanto a suo nonno e cose così.

Quali sono i tratti del suo Pasolini?
Il mio Pasolini è un uomo moderno di grande chiarezza mentale , sempre alla ricerca di risposta per le sue domande, sempre avanti.

Dove lo ha incontrato?
In un’auto all’idroscalo di Roma.(Ride) Scherzo! è ovvio che non l’ho mai conosciuto, ma posso dire di averlo incontrato in ogni strada di Roma dove lui passava, viveva, nelle persone che l’hanno conosciuto e apprezzato e nelle sue opere

Quale parte della sua produzione è stata significativa per lei?
Ho letto tutto di lui: Con lo sceneggiatore Maurizio Braucci e l’interprete Willem Dafoe, abbiamo letto le sue opere, le sceneggiature in particolare l’ultima “Salò o le 120 giornate di Sodoma ”. Quindi abbiamo scelto le parti che ci sembravano più interessanti. Personalmente credo che le lettere, il suo vasto epistolario, siano molto importanti e significativi per conoscerlo nell’intimo, nei suoi pensieri. Da lì si capisce quando fosse avanti nelle sue idee e riflessioni. Mi sono principalmente ispirato alle sue lettere.

Nel film una parte importante e riservata all’ultima intervista rilasciata il giorno della morte a Furio Colombo allora giornalista della Stampa, perché?
Mi sembrava un punto importante della sua ultima giornata di vita da inserire nel film. In quella intervista  a Furio Colombo disse cose importanti. Prima di fare il film ho incontrato centinaia di persone, a Roma e in Friuli. Persone di ogni ambiente, perché volevo capirlo attraverso il ricordo degli altri che lo avevano conosciuto.

Cosa pensa della teoria del pittore e scrittore Giuseppe Zigaina, che vede nella sua morte un sacrificio rituale orchestrato con grande precisione e determinazione?
Chiedete a Furio Colombo se avesse avuto la sensazione di intervistare un uomo alla vigilia della sua morte. Non ci credo a questa teoria! Guardate la sua grafia, nel film mostro i manoscritti, non sono pagine scritte da un aspirante suicida. Era nel pieno della sua attività: aveva già scritto 1700 pagine della sceneggiatura del nuovo film, stava scrivendo un romanzo aveva tanti progetti. Ha lasciato a metà degli scritti da finire il giorno dopo. Era vivo, quando è morto era nel suo elemento.

Che cosa voleva trasmettere di lui nel film?
Tutto e niente. Tutto quello che ho espresso. Il punto è che qualcuno non sa chi è Pasolini, dopo aver guardato il film, va a cercare da solo per conoscerlo, capirlo e scoprirlo. Il mio personaggio è una sintesi di tutte le sue opere, romanzi, poesie, film saggi, articoli. Nel mio lavoro ci sono le sue sceneggiature, in alcune parti alcune parti abbiamo rirecitato le sue parole registrare. Di lui ho messo in evidenza il suo essere molto focalizzato sulle scene delle sue storie, il suo essere nella scrittura. La sua morte è stata una vera tragedia, in un momento di grande creatività.

Che cosa l’ha colpita della visita a Casarsa della Delizia, alla sua casa e in generale in Friuli?
Ho incontrato i suoi amici che ancora vivono nelle case vicino alla sua, oggi un museo e centro di studio. Nel bar di fronte ancora parlano di lui, dietro al banco lo stesso gestore, allora giovane, canta la canzone che aveva composto a 10 anni. Mi ha colpito che di lui parlano non in termini di un genio visionario della letterature e del cinema, ma di amico, in modo semplice e diretto. Ho provato una grande emozione qui in Friuli dove ha  scritto le sue poesie più belle che raccontano dell’intensità della vita in questa terra, della quale ha sempre sentito nostalgia anche a Roma. Qui io ho ritrovato qualcosa di autobiografico: anche mio nonno, contemporaneo di Pasolini, lasciò uno piccolo paese nel sud dell’Italia vicino a Salerno.

Che cosa ha capito facendo questo film?
Mi ha insegnato che non è vero che il progresso voglia dire miglioramento e questo non vale solo per l’Italia per tutti i paesi del mondo. Il progresso è male se significa la perdita di identità, della coscienza di chi siamo.

(la foto è di Margherita Reguitti)


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