“Amici e compagni”, come si usava dire in tempo, ci hanno spiegato che bisognerebbe apprezzare e valorizzare la nuova legge sulla diffamazione approvata oggi al Senato, e che dovrà tornare ora alla Camera. A loro giudizio l’eliminazione della pena del carcere andrebbe salutata come una vittoria epocale. La giusta abrogazione del carcere era diventata obbligatoria dopo che, persino le istituzioni europee, avevano sollecitato l’Italia ad eliminare la galera per i cronisti.
Quello che non funziona non può essere nascosto sotto questa bandiera, la notizia non sta nella eliminazione del carcere, ma nel mantenimento di sanzioni pecuniarie elevate, nella equiparazione delle testate on line (che hanno tutt’altra modalità editoriale) all’editoria tradizionale, nella ridefinizione dell’istituto della rettifica in modi e forme singolari ed equivoche. La rettifica andrà pubblicata in modo completo ed immediato (sin qui ci siamo) e senza commento alcuno; e se la rettifica contenesse falsità o affermazioni lesive della altrui onorabilità? Il direttore dovrà limitarsi a fare il passacarte?
Se davvero la preoccupazione era quella di garantire il diritto del cittadino alla tutela della dignitá e della immagine,perché mai non é stata neppure presa in esame la proposta, avanzata dalle associazioni dei giornalisti, di istituire un Giurí per la lealtà della informazione, capace di tutelare sia il diritto di cronaca sia il sacrosanto diritto del cittadino a non essere diffamato?
Che gli umori non fossero dei migliori lo si é capito dalla accoglienza riservata al tema delle cosiddette “querele temerarie”, quelle che vengono scagliate contro i cronisti per intimidirli, per scoraggiarli dal mettere il naso nelle zone oscure di mafia, camorra, corruzione.
Si chiedeva l’introduzione di una norma che le scoraggiasse, prevedendo una sanzione automatica a carico del “temerario”. La norma non é passata e ,solo grazie alla caparbietà del senatore Felice Casson, é stata inserita una emendamento che assegna al giudice la facoltà di valutare caso per caso.
Evidentemente era più importante lanciare la sanzione contro il “Cronista temerario” che non colpire il “querelante temerario”.
Per questo, e non solo per questo, il testo votato dal Senato non ci convince e ci dispiace dover constatare che cresce il numero di “Amici e compagni”, anche tra i giornalisti, che cambiano il metro di giudizio a seconda del colore dei governi e delle maggioranza in carica. Siamo sicuri che, alla prima condanna, torneremo a sentire le voci di costoro, contro “Bavagli e bavaglini”.