“…Spesso tra l’palazzo e la piazza è una nebbia si folta…”. La nebbia postmoderna, che ormai avvolge Palazzo e Piazza, non è più quella della metafora di Guicciardini (Ricordi, 141). La comunicazione globale e la presunta trasparenza dello streaming rendono la nebbia mediatica, che entra ed esce dagli occhi e dalle orecchie e ci confonde le idee, ancora più insidiosa ed opaca di quella naturale.
Gli ogm sono dannosi alla biodiversità o salveranno il mondo dalla fame? Si deve credere a Carlo Petrini o ad Umberto Veronesi, entrambi saggi ed autorevoli? E per capire non ci aiuta nemmeno il metodo scientifico, inventato da Galileo Galilei, che pure integrava il salario di professore facendo oroscopi ai quali non credeva.
Ci avevano detto che Ebola era un’epidemia soltanto africana e che potevamo stare tranquilli nelle nostre tiepide case, mentre adesso la nebbia della (dis)informazione ci sta spaventando ed avvelenando.
L’articolo 18, nato alla fine delle lotte sindacali degli anni Sessanta, è ancora una garanzia per i lavoratori o è diventato un ostacolo alla creazione di nuovi posti di lavoro? Jobs Act è una nuova “schiavitù”, come grida il Movimento 5 Stelle, o aprirà ai giovani uno spiraglio nel mondo del lavoro? La nebbia ideologica è ancora fitta.
Nebbia profonda anche sulla satira e il buon senso con Sabina Guzzanti, che dà la propria solidarietà a Reina e Bagarella come provocazione per l’aggrovigliata conduzione processuale sulla trattativa tra mafia e stato, che ha coinvolto perfino il Presidente della Repubblica.
Avevano, forse, la testa un po’ annebbiata i due senatori del Pd che si sono dimenticati della lezione di Voltaire ed hanno chiesto l’allontanamento da X Factor del rapper Fedez, che ha scritto una pessima musichetta sul Presidente Napolitano. Nebbia anche su quel po’ di illuminismo che ci rimane.
Nebbia fitta sulle Province, abolite a metà, sul Senato, mantenuto artificiosamente in vita per trovargli qualcosa da fare, e sull’Italia che vorrebbe “voltare pagina”.
Ma è la nebbia melmosa della burocrazia, “una difficoltà per ogni soluzione” (Herbert Samuel, 1870-1963), che avvolge e soffoca da sempre l’Italia. E’ la burocrazia assassina che blocca milioni di euro già stanziati per Genova, periodicamente offesa ed alluvionata, tra un ricorso al Tar e uno al Consiglio di Stato, su un territorio fragile e vittima anche dell’ingordigia cementizia dei suoi abitanti. E’ la burocrazia stupidina che a Venezia dà una multa di 5000 euro a un vecchio bibliotecario che voleva regalare per strada libri destinati al macero.
La burocrazia si moltiplica, si allarga e si complica nell’incomprensibile “antilingua” denunciata da Calvino, che ci rende tutti sudditi invece che cittadini. Il risultato è che gli investitori scappano dall’Italia perché regna l’incertezza giudiziaria ed amministrativa, con processi interminabili, seguiti da centinaia di migliaia di avvocati e da giudici con le vacanze (forse) troppo lunghe che dovrebbero gestire oltre 100.000 leggi (Sabino Cassese, 1993), che nessuno può umanamente conoscere ed applicare. L’opacità della nebbia burocratica protegge la corruzione che sottrae agli italiani onesti 60 miliardi di euro ai quali si aggiungono altri 180 miliardi di evasione (Corte dei Conti, 2012), con i quali potremmo rilanciare l’economia, abbassare le tasse e proteggere chi perde il lavoro. Invece, per trasparenza amministrativa, siamo vicini a Grecia e Bulgaria e lontanissimi dall’etica burocratica di Danimarca, Finlandia e Nuova Zelanda (dati Transparency International).
La soluzione? Forse non esiste, almeno finché non si licenzierà per giusta causa chi tradisce il messaggio evangelico: “Sia il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.” (Matteo 5, 33-37).