Non si può più accettare che una tutela costituzionale del lavoro come l’art. 18 sia continuamente denigrata a “totem”. Perché i licenziamenti o sono per giusta causa o sono per ingiusta causa. Non esistono quelli “neutri”. E quando c’è un’ingiusta causa, è un giudice che deve intervenire, non l’imprenditore che l’ha provocata.
Renzi sa che in una grande azienda esiste una notevole sproporzione tra il potere della proprietà e quello del dipendente. Per questo esistono le tutele della legge; per ridare “uguaglianza” ad un rapporto diseguale.
E’ proprio su questo principio – l’uguaglianza – che emerge la costituzionalità dello Statuto dei Lavoratori, intervenuto con il preciso intento di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese“ (art. 3 Costituzione)..
Renzi sta andando in direzione opposta. Vuole rompere il faticoso equilibrio raggiunto tra lavoro e capitale demonizzandolo come causa di disoccupazione, per ripristinare il potere del capitale e accreditarsi agli occhi di un’Europa contratta da un crampo liberista.
Quindi, bene estendere le tutele a chi non ce le ha, ma non a discapito della dignità.
Che va garantita da regole e sanzioni efficaci come il reintegro oppure finisce il rispetto per i lavoratori.
Allora ci sarà il grande silenzio della fine della loro partecipazione, rotto solo dal rumore delle rappresaglie verso chi non si piega. E tutto ritornerà a quando l’unica speranza per una condizione sopportabile del lavoro era un padrone buono.
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