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Agcom bocciata

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“Il tempo, grande scultore”: così si intitola un prezioso volume di Marguerite Yourcenar e così si può dire della triste vicenda del Regolamento varato il 25 luglio del 2013 dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sul copyright on line, vale a dire le disposizioni sul diritto d’autore nell’epoca della rete. Infatti, lo scorso venerdì 26 settembre il Tribunale amministrativo del Lazio ha deciso di rinviare alla Corte Costituzionale il testo. Ciò è avvenuto dopo il ricorso di numerose associazioni (Altroconsumo, Assoprovider, Associazione provider indipendenti, Confcommercio, con l’appoggio di Articolo 21, assistite dall’avvocato Fulvio Sarzana), che fin dall’inizio hanno avversato l’impostazione dell’Agcom. “Quattro amici al bar” ( Gino Paoli, per cambiare genere) si frapposero, nel silenzio generale, sottolineando l’incongruenza di un mero atto amministrativo, chiamato incredibilmente a toccare i diritti di libertà.

Infatti, nell’articolato rimesso in discussione si prevedono persino la rimozione dei contenuti considerati a rischio o la disabilitazione dell’accesso al sito per i server collocati all’estero. Non c’è alcun dubbio, dunque, che si tratti di aspetti fondamentali per il tessuto democratico, che non possono essere forzati da una Autorità. Quest’ultima fu introdotta nell’ordinamento dalla legge n. 249 del 1997, che –pur affidandole molti poteri-  non le diede certo compiti legislativi o di Magistratura. Tanto è vero che il Tar individua proprio nella “….violazione dei principi di riserva di legge e di tutela giurisdizionale in relazione all’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero e di iniziativa economica….nonché …la violazione dei criteri di ragionevolezza e proporzionalità…..in relazione alla mancata previsione di garanzie e di tutele giurisdizionali per l’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero sulla rete almeno equivalenti a quelle sancite per la stampa….”i punti dolenti. Come si diceva, appunto, in tempi non sospetti.  Inoltre, risulta fragile l’appiglio alle fonti della delega all’Agcom, essendo centrata su due decreti legislativi, del 2003 sul commercio elettronico e del 2010 sui media audiovisivi. Ecco. E serve, ora, una buona legge. Non ha davvero senso che l’era digitale sia ancora governata dalle disposizioni sul diritto d’autore del 1941, quando non c’era neppure la televisione. E non per caso la stessa Unione europea sta procedendo con grande cautela.

Sbaglia l’Agcom a mettersi sulla difensiva, mentre potrebbe fornire un contributo importante alla definizione di una normativa matura. I materiali non mancano, anzi. Vi è una ricchissima pubblicistica –negli Stati Uniti, ad esempio- su di un tema complesso ma affascinante, che tocca la nuova fisiologia del lavoro intellettuale. La creatività è spesso svincolata dalle misure precise nel tempo e nello spazio, tipiche dell’età analogica. Ciò non significa, ovviamente, eludere i sacrosanti diritti dei produttori di cultura, ma interpella un approccio adeguato, che guardi la realtà dei bisogni comunicativi e i livelli di coscienza della cultura di massa. I diritti della cittadinanza contemporanea richiedono forme evolute di autoregolazione, inquadrate in una chiara e non burocratica legge di principi. Ed è altrettanto urgente mettere seriamente la testa nella stringente contraddizione tra tutela della privacy ed evoluzione veloce delle tecnologie. Qui passa la nuova frontiera. Non si può parlare di Internet con gli occhi rivolti alla Galassia di Gutenberg.

Fonte: “il Manifesto” di mercoledì 1° ottobre       


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