Viva (o morta?) la scuola

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Lunedì per tantissimi, tra piccini, bambini e adolescenti si va e si torna a scuola. Rivivrà ancora una volta l’atmosfera di sguardi curiosi, luminosi per stelline d’incanti e di qualche lacrima e poi gli urli, gli abbracci, le smorfie dei “grandi” che si ritrovano tra brufoli e seni aumentati. Poi c’è la parte scontata dei “riscaldatori di banchi”che farebbe volentieri a meno di riveder le stelle, preferendo di gran lunga dedicare (saggiamente) il suo tempo a imparare un mestiere: guardando cosa faceva il maestro, crescevano i ragazzi di bottega che a loro volta diventavano poi maestri. Il nostro Paese in questo senso annovera(va) pregiatissimi mestieri per lo più impraticabili, data la peculiarità e la storia, dal resto del vecchio e nuovo mondo. Sono (erano?) falegnami, mastri d’ascia, orafi, sarti, meccanici, carrozzieri, pittori e decoratori, panificatori, ideatori e spesso inventori delle arti più belle, da qui i cultori (dunque i cucinieri) di cibi unici, sconosciuti al resto del pianeta, tutti raccolti, coltivati, allevati, pescati dalle nostre terre e nelle nostre acque, serviti su tavolacci così come nelle sale da pranzo più prestigiose.
Maestri e allievi di vita quotidiana prestati (purtroppo mai restituiti) all’ozio d’incompetenti e/o lassiste istituzioni: è peccato mortale. E’ peccato che ricade su tutti gli italiani e per primi su quei giovani (scaldati dai banchi) che escono dalle nostre università pieni di sogni e buone volontà che mano a mano possono pure trasformarsi in incubi. Per svegliarsi sono poi costretti ad allontanarsi dalla loro terra madre, anzi matrigna perché la ricchezza madre è stata svenduta o, peggio, gettata in pasto ai papponi.

Dunque cosa (chi) resterà di questa Scuola che ogni settembre riapre (ancora) le porte?


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