Come un marito violento che non accetta l’abbandono, Putin continua a minacciare di tutto – atomica compresa – pur di non perdere la propria influenza sull’Ucraina. O almeno sull’area orientale filorussa.
La tensione sale e qualcuno perde la saldezza dei nervi, come Cameron, che pensa di inviare un contingente ai confini dei due paesi. Tutti parlano di soluzione diplomatica, ma nessuno sa come gestire una tale involuzione di rapporti tra paesi che da anni si affrontano in cravatta e non in divisa, ora che l’eventualità di uno scontro armato inizia a prendere corpo di giorno in giorno, tra l’incredulità della pubblica opinione della UE.
Di fatto, la scenata di gelosia territoriale di Putin ha aperto il primo fronte europeo di crisi militare.
Forse serviva proprio questo shock per porre l’Unione Europea davanti alla scelta di procedere come unità politica e non in ordine sparso. L’incedio ucraino – ancora colpevolmente sottovalutato – minaccia di allargarsi improvvisamente e il vecchio repertorio di sanzioni economiche appare davvero inadeguato per spegnerlo.
Ci vuole fermezza, tempestività e realismo per affrontare questa inedita crisi. Ma soprattutto che l’Europa – capace in politica estera solo di stigmatizzare e auspicare con elegante indifferenza – ora si faccia concretamente carico di aprire un tavolo di trattative, come principale parte in causa.
Subito, perché se si alza il vento dei nazionalismi dei paesi dell’Est, l’incedio diverrà incontrollabile.
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