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“Slang”, l’Italia costretta ad andarsene in Usa per cercare nuove opportunità. Intervista a Gerardo Greco

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Si chiama “Slang” il programma curato da Gerardo Greco (nella foto) per quatto puntate su Rai3 dal 5 settembre. Con il termine “slang” si intende quel linguaggio gergale, informale, generalmente utilizzato dai giovani perché più diretto rispetto a quello tradizionale. In questo caso “Slang” è anche l’acronimo di “Sogno L’America Nel Giardino”, un esperimento per raccontare il continuo specchiarsi tra Italia e America attraverso storie di vita di italiani ambientate nella Grande Mela, che funge da vero e proprio set. Un documento filmato in due parti, che svela chi ce l’ha fatta e chi no, narrazione dell’America oggi e dell’Italia che vuole tornare ad essere più vicina al suo modello. “Sono storie di migrazione” spiega Gerardo Greco al Radiocorriere Tv. “Centomila italiani, giovani, tra i 20 e i 30 anni che negli ultimi due anni se ne vanno in America per cercare lavoro e successo. Ce ne siamo occupati partendo da New York che è la capitale di tutti i sogni. Cominciamo da lì per raccontare in quattro puntate le storie di alcuni ragazzi che vivono a Bushwick, un quartiere periferico di Brooklyn, fatto per lo più di immigrati, e ben lontano dalle immagini della ricca Manhattan. Quattro ragazzi nella stessa casa alla ricerca di una prospettiva esaltante e gratificante”.

Quali sono le loro ambizioni? Hanno già degli obiettivi precisi?
Sì, hanno lasciato l’Italia che non gli offriva adeguate opportunità di lavoro ma hanno ben chiaro cosa vogliono fare. Cibo, finanza, cinema, moda. Un ragazzo vuole diventare un ristoratore, un altro trasformarsi in “un lupo di Wall Street”. E due ragazze. La prima sogna di diventare attrice e la seconda spera di esportare un suo marchio fino alla Fifth Avenue.

Oltre a chi cerca fortuna in “Slang” si parla anche di chi la fortuna l’ha già trovata.
Ci sono alcuni “testimonial”. Chef, attori, personaggi divenuti famosi del mondo della finanza e della moda che ce l’hanno fatta e che, in maniera indiretta, spiegano ai quattro giovani come avere successo nei loro campi. Uno di loro è Joe Bastianich, lo chef probabilmente più famoso in America (e in Italia) e che ci tiene a ribadire che la sua italianità (di seconda generazione) è la ragione del suo successo. “L’Italia – ci tiene a sottolinearlo – è ancora un brend molto forte”.

Secondo il censimento ufficiale (U.S. Census Bureau) del 2000, quasi 16 milioni (il 5,6%) di persone residenti negli Usa dichiararono di avere ascendenze italiane.
Sono molti di più. Chi si richiama alle origini italiane sono circa ottanta milioni, quasi un terzo della popolazione. E’ principalmente il frutto della grande ondata di emigrazione avvenuta alla vigilia della prima guerra mondiale.

Esattamente cento anni fa. L’emigrazione avrà caratteristiche diverse.
Ovviamente tutto è cambiato ma le similitudini sono fortissime. Miseria, sofferenza, stenti, famiglie abbandonate. E sogni da realizzare. Ovviamente New York è una metafora, questo discorso si può anche allargare ad altre città non italiane, da Londra a Berlino dove si è diffusa l’emigrazione italiana. In fondo quello dei giovani è quasi lo stesso percorso fatto dai loro bisnonni un secolo prima.

Quindi non è un’“emigrazione di cervelli”…
Direi piuttosto “di braccia”. E’ l’Italia che va altrove in cerca di fortuna. E la trova. Ma che fa comunque dell’Italia stessa la sua bandiera, il suo motivo di successo.

Fuggono per restarci o sognano di tornare in Italia?
Questi ragazzi ci dicono che andar via dall’Italia è sempre una grande fatica. Vorrebbero restare nel loro paese, avere opportunità diverse e sperano di averle presto. Ma tutti, indistintamente, vogliono tornare. Sia chi ha avuto successo sia chi lo sta ancora cercando, perché l’Italia, in fondo, ha sempre qualcosa di più.

“Italia spaghetti e mafia”. E’ ancora forte il triste stereotipo dell’Italia in Usa?
Purtroppo sì. Ma questi ragazzi vogliono raccontare proprio il contrario e cioè che l’Italia è ben altro rispetto alla percezione americana di cento anni fa. Spaghetti e polpette, il bel canto, i sopranos e la mafia, la malavita italoamericana. Rifiutano categoricamente questi stereotipi. I ragazzi che oggi vanno negli Usa sono ambasciatori casuali di un’Italia diversa. Un’Italia che, tra l’altro, ha oggi una fortissima audience negli Usa. Dalla moda alla gastronomia di qualità , dalla finanza alle arti, cinema, teatro, musica… E’ questa l’Italia in Usa che noi raccontiamo.

C’è materia per un seguito di “Slang”
Chi lo sa… E’ stato un esperimento, a mio avviso interessante, che abbiamo tentato con il direttore di Rai3 Andrea Vianello. Io in ogni caso faccio un altro lavoro (sorride Greco). Racconto la politica in Italia in uno talk show (Agorà, ndr).

Ti manca quell’America che hai così ben conosciuto da inviato?
Molta della mia storia personale è legata agli Usa e quindi è inevitabile che ci sia una qualche nostalgia. Ci tengo tuttavia a ribadire che questa non è una storia solo americana. L’America è un emblema, il simbolo del paese delle opportunità, ma questa è una storia italiana. L’America è solo “causale”, perché abbiamo deciso di partire da New York ma si potrebbero passare in rassegna altre città, e magari in futuro le mete estere saranno altre. E’ l’Italia costretta ad andarsene e che speriamo, allorché ci saranno reali opportunità, possa tornare.


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