Per l’ex segretario del Partito democratico, il piacentino Pier Luigi Bersani, l’ultima scelta politica dell’attuale segretario e presidente del Consiglio Matteo Renzi, non è una riforma effettiva del mercato del lavoro ma un’operazione da gattopardo. Lo ha detto nell’intervista, fatta ieri al Sole 24 ore aggiungendo anche che non è affatto vero che, con questa scelta, si riduce la precarietà, quando di fatto la si aumenta. Il presidente del Consiglio, ha detto Bersani, ha fatto una norma che può consentirgli di andare a sud, a nord, ovest o ad est. Ma è venuta fuori un’interpretazione che, se fosse vera, significherebbe fallire su tutta la linea.”
E ancora: ” non basteranno certo due miliardi a introdurre quel sistema in Italia. La flexicurity alla danese costa almeno 15 miliardi, come facciamo a introdurla domani mattina con la situazione della finanza pubblica che abbiamo oggi?” E al giornalista che gli chiede se il con tratto a tutele crescenti, di cui ha parlato Renzi, con sentirebbe una maggiore unificazione del mondo del lavoro, l’ex segretario risponde: “il problema numero uno in Italia è quello della produttività. Ma questo non può valere soltanto per i nuovi contratti, come pure è stato detto. Così si andrebbe nella direzione di aumentare la segmentazione del mercato del lavoro mentre si dice di volerla ridurre. E questo sarebbe inaccettabile.
” Bersani è convinto che l’applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, dopo la legge Fornero, sia diventata più farraginosa ma ritiene che non vada abolito ma, al contrario, ora dobbiamo provare a trovare soluzioni che lo facciano funzionare meglio, per accelerare tutto. Ma: il reintegro deve rimanere, magari dopo più anni, ma deve rimanere. E’ una tutela che va garantita. Così, per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali. Bisogna andare verso un sistema universalistico ma dobbiamo fare un lavoro progressivo, perché i costi non sono sostenibili nell’immediato. ” Nella sostanza la posizione dell’ex segretario intorno al quale si raccoglie ancora una minoranza non piccola del partito ai vari livelli non è per una difesa dogmatica dell’articolo 18 dello Statuto ed è sensibile a non spaccare il partito ma fa presente con chiarezza quali sono i margini della mediazione e soprattutto vuole che alle parole corrispondano sempre i fatti. Un’esigenza di metodo che anch’io mi sento condividere nel momento in cui si fanno scelte di così grande importanza per milioni di lavoratrici e lavoratori nel nostro Paese.