Dicono che in mare si muore per colpa delle barche fatiscenti, degli scafisti senza scrupoli, per colpa del mare. Io invece so che il mare non c’entra affatto, che le barche e gli scafisti sono solo degli strumenti. Io so che in mare si muore perché in mare c’è una linea che segna un confine. Si muore per quella linea, per oltrepassarla. Ci sono barche piene di famiglie nel mediterraneo. Uomini, donne e bambini che lasciano tutto quello che hanno all’improvviso, a causa di guerra o di persecuzione, e scelgono il mare nella speranza di oltrepassare quella linea e di mettersi in salvo. Muoiono per salvarsi. Sembra un paradosso, ma è proprio quello che succede.
Ventimila morti in dieci anni. Si contano tanti morti, ma quel numero deve essere aggiornato continuamente. Ora siamo a ventiduemilacinquecento. Chissà domani.
Morti che fino ad un anno fa, non vedeva nessuno e oggi vanno in onda in mondovisione.
Il 3 ottobre del 2013 c’è stato il primo, tragico naufragio “visibile”. Di fronte Lampedusa, a poche centinaia di metri dalla costa, sono morti in 368. Uomini donne e bambini.
Tra poco sarà un anno esatto e noi del Comitato 3 ottobre, assieme al Comune di Lampedusa e all’Arci, vogliamo celebrare quel primo anniversario con i superstiti e con i familiari delle vittime. Lampedusa è pronta ad accoglierli ancora e si lascerà dipingere, si lascerà colorare e attraversare. L’isola che c’è, ma che Mare nostrum ha lasciato respirare dopo quella tragedia che per la prima volta ha mostrato al mondo la morte nel mare. La morte sulla linea del confine.
Il comitato 3 ottobre ha aiutato superstiti e familiari delle vittime a fare un viaggio a ritroso per tornare indietro a Lampedusa. Stavolta ognuno con il suo biglietto aereo in tasca pagato da generose associazioni umanitarie. Ognuno con il suo documento di identità ed il suo permesso di soggiorno concesso per motivi umanitari, perché ognuno di loro scappa da guerra e persecuzione e ne ha diritto. In qualsiasi paese europeo ne ha diritto, anche se per raggiungerlo è costretto a rischiare la vita e spesso, sempre più spesso, a perderla.
Quella giornata la celebriamo sotto uno slogan: proteggere le persone e non i confini. È il titolo che abbiamo scelto per dire all’Europa che i suoi confini uccidono, che le politiche di accoglienza devono cambiare. Un anno fa vennero a dire: mai più. Vennero a dirlo in coro i potenti d’Europa. Oggi, duemilacinquecento morti dopo, vengono a dirci che l’operazione umanitaria Mare nostrum, verrà sostituita da una operazione di polizia di frontiera che si chiama Frontex plus.
I morti si erano mostrati il 3 ottobre e avevano innescato la reazione positiva di Mare nostrum, la più grande operazione di soccorso in mare mai vista. Ora i morti che si mostrano, ognuno di loro, è un atto d’accusa contro chi non si decide ad agire, ad andare oltre Mare nostrum e a facilitare l’accesso all’Europa a chi scappa da guerra e persecuzione e ha diritto all’accoglienza e all’asilo.
Programmi di ingresso agevolato, corridoi umanitari. Sono le nostre parole d’ordine per il 3 ottobre di Lampedusa per il festival Sabir che celebra l’isola dal 1 al 5 ottobre, per parlare di migrazioni, per gridare: basta morti in mare.
Corridoi umanitari. Non ci sono altre alternative. A meno di scegliere che una linea invisibile continui ad uccidere. E allora ognuno si assuma le sue responsabilità. E non si dica più che è colpa del mare.
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