Il patto del Nazareno nasconde un angolo cieco. Una zona d’ombra, un vicolo buio dove cacciare tutti i temi che sul tavolo dell’accordo “di sistema” fra Renzi e Berlusconi non ci possono stare. Si chiama conflitto d’interessi. Era il cavallo di battaglia sbandierato retoricamente da un’intera stagione di antiberlusconiani in servizio permanente effettivo, centrosinistra incluso. Lo riprese il premier descamisado ai tempi della sua irresistibile ascesa alle leadership del Partito Democratico, come grimaldello per stanare nel merito la vecchia classe dirigente democrat. “L’avete evocato per vent’anni senza realizzarlo mai”, disse l’allora sindaco di Firenze, “ora con me la musica cambia: le cose si dicono e si fanno”. Appunto. Dopo nove mesi di governo, quel tema è diventato un tabù impronunciabile. Nemmeno si nomina più. Sull’altare delle larghe e piccole intese, si è occultato sistematicamente non un tema fra gli altri, ma la questione irrisolta del nostro Paese.
Un nodo non solo di carattere legalitario, un problema di oscure “tecnicalità” giuridiche, ma il discrimine essenziale per dimostrare davvero, come dice Renzi, “la capacità della politica di riformare se stessa”. Per questo motivo – e il timing non è affatto casuale – noi vogliamo riportare questa discussione al centro dell’agenda politica, e farlo oggi, alla vigilia della seconda lettura alla Camera della riforma costituzionale, cuore di quell’intesa tra Pd e Forza Italia.
La proposta di SEL, che procederà lungo il doppio binario di un disegno di legge ordinario e di un un disegno di legge costituzionale, intende definire in profondità in cosa consiste oggi il conflitto di interessi, anzi, i conflitti di interesse. Nello specifico, accanto alle misure sanzionatorie, il nostro provvedimento prevede misure di prevenzione “a monte” del conflitto: allarga i destinatari della disciplina, oltre ai titolari di cariche di governo, ai parlamentari, alle Authority, ai titolari di cariche di governo regionali e locali, assegnando compiti di vigilanza e controllo all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm).
Il quadro è quello definito dell’articolo 54 della Costituzione, che nella nostra riformulazione andrebbe così riscritto: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, nonché di operare nella esclusiva cura degli interessi pubblici e in assenza di conflitti di interessi, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”.
Le parole sono importanti, e quelle scolpite nella nostra Carta lo sono ancora di più, perché segnerebbero una discontinuità radicale con un passato politico fatto di tante parole, zero opere e (infinite) colpevoli omissioni. Non siamo soli, ci sono molte proposte di legge già in campo, anche dello stesso Pd e del Movimento 5 Stelle, ma si può convergere e accelerare su un testo unico. I numeri ci sono, ora come sempre ci vuole la volontà politica. E per quella, mille giorni potrebbero anche non bastare.
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