Dopo alcuni giorni di riflessione vorremmo ritornare sulla polemica suscitata dal procedimento avviato dal Consiglio nazionale di disciplina dell’Ordine dei giornalisti a carico di Magdi Allam per alcuni articoli sull’Islam, pubblicati su “Il Giornale” nel 2011. Articoli dove il giornalista esprime delle critiche di carattere generale sull’Islam che, secondo i ricorrenti, sarebbero “in contrasto con i principi stabiliti nella Costituzione e nella Carta dei doveri dei giornalisti”. Sulla vicenda si è acceso un dibattito a dir poco infuocato che ha scatenato soprattutto coloro che ritengono le accuse contro Allam una evidente lesione del diritto alla libertà di espressione.
In questa occasione vorremmo riportare la questione sul merito degli scritti di Allam, evitando di affrontare dotte e noiose discussioni sul diritto o meno di impugnazione della delibera del giudice di primo grado (il consiglio di disciplina dell’Ordine del Lazio) che aveva assolto lo stesso giornalista.
A questo proposito riportiamo la posizione espressa sulla questione da un consigliere nazionale dell’Ordine, Roberto Mastroianni, sostanzialmente favorevole alla riapertura del procedimento disciplinare a carico di Magdi Allam:
Il consiglio di disciplina nazionale dell’Ordine dei giornalisti ha deciso di sottoporre Magdi Allam a procedimento disciplinare per una serie di articoli sull’Islam pubblicati sul Giornale tra il 22 aprile e il 5 dicembre del 2011. Tra i testi incriminati riportati dal Giornale: «l’Islam ci assedia: abbiamo il dovere di difendere la nostra cultura. Subiamo ogni giorno gli abusi dei predicatori d’odio che si annidano in quasi tutte le 900 moschee italiane» (26 aprile 2011); oppure «Milano si inchina alle moschee ma vieta le chiese» (27 giugno 2011). E ancora, 3 maggio 2011: «Ha ragione il cardinale bolognese Giacomo Biffi quando mi dice che il nostro vero nemico non sono gli islamici bombaroli, ma i cosiddetti islamici moderati che ci impongono moschee e scuole coraniche».
IL PROCESSO – Il consiglio di disciplina nazionale dell’Ordine ha ribaltato una decisione diametralmente opposta dei colleghi del Lazio che avevano archiviato il ricorso contro Allam presentato dall’associazione Media&diritto, decidendo che quel ricorso andava accolto perché «non manifestamente infondato» in quanto negli articoli incriminati «non compaiono valutazioni critiche per fatti di cronaca circostanziati ma affermazioni di carattere generale sulla religione islamica e coloro che la osservano, con una generalizzazione che colpisce anche quanti, moderati, tra i circa due milioni presenti in Italia, rispettano le leggi del Paese che li ospita». La delibera è datata 1 agosto e da quella data Allam ha 30 giorni di tempo per presentare documenti e memorie difensive. Questo vuol dire che ci sarà il processo, durante il quale Allam potrà deporre difeso da un avvocato patrocinante in Cassazione.
Premesso che l’argomento è delicato e merita riflessioni più approfondite ci sembra che il metodo più adatto per affrontarlo sia proprio quello di discutere del merito, andando a rileggere con attenzione gli articoli e le opinioni espresse da Allam.
Sic stantibus, come sottolinea anche il presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Enzo Iacopino, Magdi Allam non è stato processato, per lo meno non ancora. Il Consiglio di disciplina nazionale si è solo limitato a ritenere “non manifestamente infondato” un esposto presentato da una associazione che ritiene non corrette e discriminatorie alcune affermazioni contenute nei suoi articoli. Il dubbio, per alcuni, è che Magdi Allam abbia violato alcune norme contenute in particolare nella Carta dei doveri dei giornalisti. E i passi sopracitati, pur per fortuna senza incitare alla violenza contro i musulmani, per lo meno si configurano come generalizzazioni che di fatto forniscono delle connotazioni fortemente negative e discriminatorie nei confronti di tutto l’Islam, senza distinzioni di sorta, ad esempio, tra le efferatezze e le barbarie commesse da gruppi jihadisti in nome di Allah e la stragrande maggioranza dei musulmani che tradiscono imbarazzo, disgusto e talvolta anche rabbia nell’essere associati grossolanamente agli sgozzatori di Foley, Sotloff e di tanti altri.
Libertà di manifestazione del pensiero o superamento dei suoi limiti? Uno dei quali, come è ben noto, è l’altrui dignità? Se ne può discutere a lungo. Ma ci pare molto difficile negare che la domanda e il dubbio si pongano. Ed è questo quanto è stato fino a ora fatto.
L’impressione di fondo è che, anche in questa occasione, gli sbandieratori della più ampia libertà di espressione (anche se rischia di tradursi in incitamento all’odio), coloro che – tanto per fare un esempio – ritengono l’islamofobia solo una emerita buffonata, si siano posti in realtà un obiettivo più ambizioso, quello di abbattere qualsiasi regola, qualsiasi norma, avendo a cuore in primis la propria libertà, non certo quella altrui.
Una sorta di “libera tutti” che porti in finale all’abolizione di qualsiasi limite o codice deontologico, di qualsiasi Ordine o Carta dei doveri. Per riassumere con uno slogan efficace: “Vive la liberté, surtout la mienne!”.
Le regole che difendono la correttezza e quindi l’autorevolezza del nostro lavoro – come del resto qualunque regola o legge – non si scrivono nel fuoco della polemica. Perché siano giuste, equilibrate, utili per tutti, e quindi a garanzia dei diritti di tutti, le regole come le leggi si scrivono lontano dal clamore del singolo caso, perché possano servire a dirimere quello, e altre mille controversie che verranno. Fuori da questi criteri c’è il caos. C’è la sopraffazione del più forte nei confronti del più debole. C’è la convenienza piccola degli azzeccagarbugli, che fa prevalere ciò che in quel momento appare più conveniente. Quindi nessuna regola e infine nessun diritto.
Siete davvero convinti che convenga stare in un mondo così? Perché i più deboli la prossima volta potreste essere voi
Associazione Carta di Roma