L’arresto di Curcio e Franceschini. Le rivelazioni dell’intervista a Caselli

0 0

Anche i terrorismi italiani, quello neofascista e l’altro legato-ideologicamente, si intende – all’Unione Sovietica e al comunismo del ventesimo secolo, hanno i loro anniversari e lunedì 8 settembre è quello dell’arresto a Pinerolo di Renato Curcio e Alberto Franceschini da parte dei carabinieri del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso a sua volta da Cosa Nostra di Salvatore Riina, il 3 dicembre 1982.  E alcuni particolari di quell’avvenimento emergono,  a distanza di  quarant’anni, da un’ampia intervista che il giudice istruttore di allora, Giancarlo Caselli, coordinò a Torino insieme con il pubblico ministero Bruno Caccia (del quale chi scrive  ha pubblicato, l’anno scorso, nei quaderni di Narcomafie un profilo biografico, scritto con Teresa de Palma).

L’ex procuratore di Torino e di Palermo, per alcuni anni dopo le stragi del ’92-93, ricorda oggi che né il giudice Caccia né lui pensarono-neppure per un momento- che l’organizzazione terroristica, guidata fino all’arresto da Curcio e Franceschini, quindi successivamente da Mario Moretti, avrebbe concluso  la propria storia  con quel duplice arresto in Piemonte. “Il nucleo speciale, istituito soltanto per indagare sul sequestro del giudice Mario Sossi  ma,  disubbidi  e continuò a indagare sull’organizzazione,  disarticolandola. ” Alla domanda del giornalista su Moretti, l’ex giudice afferma che è provato che il brigatista non era quel giorno a Pinerolo e che qualcuno tentò ma, senza successo ,di avvertire Curcio dell’arresto imminente. Quanto a Girotto, Caselli  afferma dopo quarant’anni che le sue testimonianze coincidevano al millimetro con le risultanze dei fatti. Quanto alle cause della sconfitta delle Brigate Rosse, l’ex magistrato crede di poter concludere: “L’attività di re pressione e di indagine è stata molto importante. Ma non è stata l’unica.

Furono, al contrario, decisive le decine e decine di assemblee che si tennero nelle parrocchie, nei luoghi di lavoro, nelle sedi di partito. Per spiegare che non ci trovavamo di fronte a Robin Hood ma a un gruppo di assassini. Bisognava rompere il  muro dei ambiguità dei “compagni che sbagliano” i silenzi complici di alcuni intellettuali.” Secondo l’ex magistrato, non fu un’impresa facile ma alla fine i terroristi furono politicamente isolati ed entrarono in crisi. Fu la fine degli appoggi che avevano portato molti a non accorgersi della tempesta che si stava addensando. A Torino ricordo che un giorno in un quartiere popolare  venne assaltato a bastonate un bar ritenuto un coro di fascisti.” L’ex magistrato non ha paura che le BR rinascano ma che si riproduca il ritorno della “stagione dei compagni che sbagliano”. Avendo scritto un libro su quegli anni che prima o poi rivedrò e forse  pubblicherò di nuovo, credo che occorra aggiungere classi dirigenti e governi italiani successivi non hanno mai fatto un esame di coscienza completo sulle cause di quel tragico fenomeno né ricordato adeguatamente un personaggio straordinario come Bruno Caccia.

I pericoli, a mio avviso, nascono piuttosto da qui e dagli errori di chi governa piuttosto che da chi guida l’informazione(se lo fa onestamente) o da chi insegna la storia contemporanea(allo stesso modo). Almeno questa è stata finora la mia esperienza di vita.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21