Si è tenuta nei giorni scorsi ad Istanbul la nona edizione dell’ “Internet governance forum” (Igf). Si tratta del più autorevole –almeno sulla carta- luogo di riflessione sullo stato delle cose della e nella rete. Il Forum nacque nel 2006 ad Atene (in verità, fu lanciato un anno prima a Tunisi, al World summit sulla società dell’informazione), come peculiare entità dell’universo nelle Nazioni unite. Tuttavia, come ha lucidamente annotato Glauco Benigni su “Repubblica.it”, l’Igf non è un organismo permanente, perché in tal modo ricadrebbe sotto la giurisdizione del Segretario generale. No, l’Igf è stato voluto libero e sciolto da ogni gerarchia, popolato indistintamente dai rappresentanti di governi e parlamenti, nonché dai cosiddetti “stakeholders” (vale a dire le espressioni attive della società civile). E anche in Turchia il panel finale sul “che fare” è rimasto aperto, rinviato al prossimo appuntamento, nel 2015 in Brasile. Quest’ultimo attivissimo, avendo ospitato il “Net Mundial” nell’aprile scorso, ed avendo varato la normativa al momento più avanzata, il “Marco Civil da Internet”.
Certo,però, l’ambiguità originaria, allora fertile e segno di apertura, oggi rischia di rivoltarsi contro i nobili fini originari. Perché la rete non è più da tempo quel simpatico pianeta un po’ anarco-liberista della prima età degli internauti e neppure quello dei social a go go della seconda fase. Adesso è arrivata l’ora dei grandi aggregatori dei saperi, da Google-Apple-Yahoo- Microsoft- Amazon in poi, che hanno ingaggiato esplicitamente la lotta per la conquista dell’immaginario collettivo e della biblioteca globale. Dopo la stagione dei caratteri a stampa e del tubo catodico, ecco i nuovi zar. Al riguardo, è interessante il recente volume di Federico Rampini “Il volto oscuro della rivoluzione digitale” (2014). Del resto, Google ha lanciato il “caveau della conoscenza” dove vengono raccolti i dati meritevoli di interesse storico, in quanto considerati veritieri. Il cervello privatizzato. Ciò non toglie nulla, per carità, all’urgenza di tutelare i diritti della cittadinanza digitale e l’autonomia di Internet da qualsiasi restrizione o censura messe in atto dai paesi ostili: dalla Cina all’Iran; o dai gruppi conservatori nelle democrazie consolidate.
Mentre è proprio con la cultura dei beni comuni e della socializzazione del lavoro intellettuale che si vince o si perde al cospetto degli “Over the top”: allargando, non restringendo, la partecipazione. Il panel di maggiore contrasto –sui novanta del programma- è stato non casualmente quello dedicato alla neutralità della rete, cioè l’accesso uguale per tutti e senza discriminazioni. E’ il tema dei temi, vista l’immanenza della “Galassia Internet”, come la chiama Castells, uno dei massimi studiosi in materia. Se è vero che Internet è la trama delle nostre vite, allora qui si gioca il presente e il futuro della democrazia. La “net neutralità” ha molti nemici, aperti o nascosti. Persino –è stato sottolineato a Istanbul- si profila il pericolo di un ritorno ad Adamo Smith. Le proposte operative sono non per niente venute dai continenti del nuovo mappamondo, dall’Africa, all’America Latina, all’Asia e all’area del Pacifico. O da donne ministre, di Colombia e Costa Rica, tra le altre. Purtroppo, proprio sui nodi cruciali la discussione è rimasta ferma, ivi compresa la complessa vicenda di chi gestirà l’anagrafe dei domini, con il superamento della storica società californiana “Icann”.
E’ venuto il momento di immaginare una passo avanti, verso un’autorità mondiale, in grado di frenare i Giganti della Montagna.
Fonte: Il Manifesto