Ci fu un tempo in cui Maresco faceva binomio con Ciprì per fornirci un senso grottesco, molto trash della quotidianità. Oggi Maresco ci fornisce “il senso” della nostra (ultima) esistenza ventennale. Nel e con il suo film (assai acclamato a Venezia) ha pacatamente inanellato e dimostrato, per quanto in chiave satirica, il vorace, ingordo bailamme divoratore della storia nostra che, per puro caso, istituzionalmente è stata giudicata, legalizzata ed eseguita da tal Berlusconi Silvio: buon coordinatore di storie, storielle, storiacce. Maresco, a differenza dei suoi predecessori, non era interessato a fare satira su quel tale, bensì sul risultato che quel tale ottenne, scommettendo esclusivamente sulla propria “capacità e sapienza” nel saper plagiare gli (italici) animi che, non dimentichiamo, reputava scolari di seconda media neppure troppo bravi. Il successo dipendeva da quanti avrebbero raccolto, tributandogli onori. Vinse alla grande…
Maresco si limita a sviscerare il perché e per farlo usa gli stessi metodi e principi trash, grotteschi e volgari (seppur esaltati dalla satira) che usò quel tale per impossessarsi del governo, ma questa volta trattasi di riflettere sulla nostra morale, non sulla sua.