Basta osservare la composizione della nuova Commissione europea per comprendere chi siano i migliori alleati delle formazioni euroscettiche che, a maggio, hanno trionfato praticamente in tutto il Vecchio Continente. Pur essendo europeisti convinti, infatti, non possiamo non sottolineare, con preoccupazione e amarezza, che la compagine di governo varata da Juncker riesce nell’impresa, oggettivamente ardua, di far rimpiangere quell’accolita di conservatori, liberisti e mezze figure che componeva l’esecutivo del suo predecessore.
Ora, pur tralasciando le polemiche che hanno accompagnato l’impuntatura renziana sulla Mogherini e augurando alla nostra lady PESC di far del suo meglio per orientare in senso progressista le politiche dell’Unione, non possiamo però tacere di fronte alla macroscopica ingenuità commessa in tandem da Renzi e Hollande, i quali, illudendosi che il clima nel Vecchio Continente fosse cambiato e che la Merkel, costretta a fare i conti con un’economia tedesca sempre in buona salute ma meno arrembante di un tempo, fosse pronta a concedere quei margini di flessibilità vitali per gli stremati paesi del Mediterraneo, hanno clamorosamente sottovalutato l’astuzia e il peso determinante della Cancelliera nelle decisioni che contano. E così hanno sì incassato la nomina della Mogherini ad Alto Rappresentante dell’Unione e quella di Moscovici agli Affari economici e monetari ma si sono presto accorti, anche se non lo ammetteranno mai pubblicamente, di essere caduti in un trappola atroce, dato che quella della Mogherini è più che altro una carica onorifica mentre il dicastero di Moscovici è stato, di fatto, depotenziato e commissariato dalla presenza del liberista spagnolo De Guindos alla guida dell’Eurogruppo, dal ruolo cruciale dell’ex premier polacco Tusk alla presidenza del Consiglio europeo e, soprattutto, dalla presenza di due super-falchi del rigore come il finlandese Katainen e il lettone Dombrovskis, entrambi vice di Juncker (popolare lussemburghese vicinissimo alla Merkel) e, rispettivamente, commissario per il lavoro, gli investimenti, la crescita e la produttività e commissario per l’euro e il dialogo sociale. Non solo: a vegliare sul dogma del rigore, provvederanno anche la bulgara Kristalina Georgieva, vicepresidente e commissario per il bilancio e le risorse umane, la belga Marianne Thyssen, commissario per il lavoro, gli affari sociali e l’occupazione, la polacca Elżbieta Bieńkowska, commissario per il mercato interno, l’industria, l’imprenditoria e la piccola e media impresa, la liberale danese Margrethe Vestager, commissario per la concorrenza, e la liberale svedese Cecilia Malmström, commissario per il commercio. Senza contare il capolavoro di autolesionismo costituito dalla decisione di affidare alcune fra le principali vicepresidenze ai rappresentanti di quei paesi baltici e dell’est che più hanno ostacolato la nostra Mogherini, accusandola di essere eccessivamente filo-russa, ossia di non essere disposta a innescare una riedizione della Guerra fredda nei confronti di Putin dalla quale l’intera Europa, e l’Italia in particolare, avrebbe tutto da perdere.
In poche parole, la nuova Commissione si baserà su due spine dorsali: una ultra-liberista in economia, con i falchi del Nord a farla da padroni, e una ultra-atlantista in politica estera, col risultato che gli unici a trarre vantaggio dal contesto che si prefigura saranno i traballanti Stati Uniti di un Obama sempre più in difficoltà.
Come se non bastasse, a ciò si aggiungono tre diversi tipi di tensioni che rischiano di minare ulteriormente il già fragile equilibrio su cui si regge l’Unione: innanzitutto, le spinte secessioniste cui stiamo assistendo in Scozia e in Catalogna, senza dimenticare le frizioni tra fiamminghi e valloni in Belgio, le mai sopite pulsioni indipendentiste dei baschi e il malessere dei veneti in Italia; in secondo luogo, la rabbia mista a disperazione dei paesi poveri del Sud, sfiancati dalla crisi, costretti ad assistere intere generazioni senza lavoro e senza prospettive, gravati da un debito pubblico in costante aumento e ormai quasi insostenibile e condannati ad un mesto e rapido declino se non riusciranno, quanto meno, ad alleviare, tramite investimenti e sgravi fiscali alle imprese, la piaga della disoccupazione giovanile; infine, l’egoismo barbaro e disumano dei benestanti del Nord, per nulla disposti a farsi carico dei problemi altrui, arroccati nella proprie regge d’oro circondate da macerie fumanti e incapaci di comprendere, con quel briciolo di lungimiranza di cui sembra essersi persa ogni traccia, che la vera causa del loro arretramento, per quanto contenuto, risiede proprio nell’asfissia dei paesi che essi stessi stanno contribuendo a strangolare, privandoli delle risorse necessarie ad acquistare un elettrodomestico tedesco o a venire in crociera sul Mare del Nord.
A completare il disastro, provvedono le nomine di Jonathan Hill, euroscettico e uomo della “City”, scelto apposta da Cameron per vegliare sugli interessi britannici in ambito finanziario, Miguel Arias Cañete, popolare spagnolo nonché classico esempio di conflitto d’interessi ambulante, dovendosi occupare di azione per il clima ed energia pur essendo presidente dei consigli di amministrazione delle società petrolifere “Petrolífera Ducar” e “Petrologis Canarias”, e infine Tibor Navracsics, commissario per l’istruzione, la cultura, la gioventù e la cittadinanza pur essendo un fedelissimo di Orbán nonché l’autore della legge liberticida con cui, in Ungheria, sono stati limitati i poteri dei media e dei magistrati. In poche parole, siamo di fronte alla peggior Commissione di sempre: liberista in economia, guerrafondaia in politica estera, completamente assente, per non dire proprio ostile, sul tema dei diritti umani, della dignità della persona e delle libertà civili e politiche sempre più messe a rischio dall’incedere di una globalizzazione che non tiene in alcun contro i princìpi democratici e solidali per cui era stato concepito il sogno europeo nell’immediato dopoguerra.
Di quel sogno, oggi, sono rimasti solo i ricordi, qualche nobile dichiarazione dei suoi protagonisti e le classiche colate di retorica dei suoi numerosi interpreti interessati, privi della benché minima idea, del benché minimo valore, di una visione, di un orizzonte, di un’ideologia e persino di quel minimo di lucidità e profondità d’analisi un tempo ritenuto indispensabile per chiunque volesse dedicarsi all’amministrazione della cosa pubblica.
Il nostro timore, al pari di altri osservatori, è che questa “Panzer Kommission”, come l’ha chiamata Corradino Mineo in uno dei suoi “Caffè”, possa riuscire là dove finora hanno fallito persino sette anni di devastazione economica e sociale, ossia nel convincere i pochi europeisti rimasti che sia davvero preferibile abbandonare l’euro e mandare in frantumi questa costruzione, nata per assicurare ai popoli europei stabilità, pace e diritti ma attualmente ridotta a un coacervo di opposti estremismi, di egoismi complementari e di individualisti incapaci anche solo di concepire il concetto di comunità solidale. Se dovesse accadere, sarebbe la sconfitta collettiva più grave dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Andando avanti così, sarà inevitabile.