“Luciana non ce l’ha fatta. Certo, è qui con la mente”. Esordisce così Mariangela Gritta Grainer, la Presidente dell’Associazione Ilaria Alpi, salendo sul palco della del premio che porta il suo nome, giunto alla sua ventesima edizione, condotta da Maria Cuffaro e Giorgio Zanchini. Certo, è per ragioni di salute, ma risulta difficile non pensare che non sia solo il suo corpo a voler restare lontano dalla cerimonia di Riccione. Come se anche il suo cuore non riuscisse più a sostenere il peso delle parole, che da anni si ripetono uguali a se stesse, e che da anni non portano a nulla di fatto. Ogni anno, dal 1995, alcuni giornalisti ricevono questo premio nel nome di Ilaria e Miran, mentre ci si pone le stesse, immutate, domande. Ci si chiedeva allora, e ci si chiede oggi, così come ci si è chiesti, anno dopo anno: chi aprì le valigie di Ilaria e Miran sull’aereo dell’Aeronautica militare, sottraendo documenti e nastri? Che cosa avevano scoperto in Somalia i due giornalisti sul traffico illegale di rifiuti tossici, nel quale era coinvolto il nostro Paese? Perché nessun giudice è mai partito da questo fatto per cercare i mandanti di quella brutale esecuzione?
In fondo, è solo giustizia che si chiede: che i colpevoli siano puniti e rimossi dai loro incarichi. Sempre che si riesca ad individuarli. Oggi sono passati vent’anni. Uno spiraglio di luce sulla vicenda si è aperto da pochi mesi, con la decisione di Laura Boldrini di desecretare gli atti relativi all’omicidio della giornalista del Tg3 e del suo operatore, Miran Hrovatin, a Mogadiscio, quel 20 marzo 1994. Ma sembra ancora tutto avvolto in una coltre di fumo. O meglio, di inquinamenti di prove e depistaggi, di documenti mancanti e informazioni che restano ostaggio del segreto di Stato.
Che si debba lottare per la verità è un mantra ripetuto dalle istituzioni ogniqualvolta si ricordi una strage, o l’anniversario di un presunto omicidio “di Stato”. Ma dove la cercano le istituzioni stesse questa verità? Fuori, invece che al loro interno, con la trasparenza che dovrebbe contraddistinguerle e che invece nel nostro Paese resta spesso una chimera. Lo ha ribadito, calcando il prestigioso palco, anche Sandro Ruotolo, premiato per un reportage sulla Terra dei Fuochi, andato in onda su Servizio Pubblico.
Questo riconoscimento, intitolato ad Ilaria e divenuto un punto di riferimento nel settore dell’inchiesta giornalistica televisiva, intende premiare il coraggio e la determinazione di chi non smette di ricercare la verità, rischiando la propria vita per non abdicare al fine primo e ultimo del nostro mestiere: informare il lettore.
La migliore inchiesta televisiva italiana sotto ai 15 minuti è quella di Elena Redaelli, andata in onda su Italia Uno, nel programma Lucignolo: “Neet generation”, ragazzi che non studiano e non lavorano, e nemmeno credono più nel futuro. Quasi quattro milioni, secondo l’Istat. Il premio miglior inchiesta televisiva sopra i 15 minuti è andato a Francesca Nava, della redazione di Piazza Pulita, con “Occhio al farmaco”. Il miglior servizio del telegiornale, invece, è quello di Valerio Cataldi, sulla disinfestazione da scabbia (presunta) ai danni degli immigrati del Cie di Lampedusa. Cataldi ha incontrato uno di loro, Alì e gli ha lasciato il suo cellulare: lui, dall’interno del centro di accoglienza, in un giorno di dicembre, ha girato le immagini shock trasmesse dal Tg2.
Miglior inchiesta internazionale a Edouard Perrin, con “The untaxable”, sull’evasione fiscale di Amazon. Menzione speciale a Marcel Mettelsiefen, per il suo reportage sul dramma di Aleppo, ma visto con lo sguardo di tre bambini siriani, che continuano a vivere la loro quotidianità dentro la loro casa. Premio Ilaria Alpi doc ad Alessandro Marinelli, che ha raccontato la storia dell’imprenditore calabrese Pino Masciari, in un programma di protezione di testimoni di giustizia dal 2008, dopo essersi ribellato alle minacce della criminalità organizzata.
E poi c’è lui, il fratellino minore del premio Alpi: quello intitolato a Roberto Morrione e rivolto ai giovani under 31. Alla sua terza edizione, patrocinata come le due precedenti anche da Articolo21, finanzia un’idea, anzi, tre: tre progetti finalisti, selezionati tra centinaia, che vengono realizzati con l’aiuto del comitato organizzatore. I ragazzi sono sostenuti dall’inizio, hanno un’assistenza giornalistica e legale per tutto il periodo di lavorazione e l’inchiesta vincitrice viene trasmessa su Rainews24.
Durante la serata del premio Alpi i giovani cronisti hanno dovuto soccombere ai tempi serrati della cerimonia, e non hanno fatto in tempo a godersi l’emozione di trovarsi su quel prestigioso palcoscenico, che già venivano invitati a scendere. Ma il meritato momento di gloria lo avevano vissuto nel pomeriggio: un incontro tutto dedicato a loro, con l’annuncio ufficiale dei due lavori vincitori: un ex aequo tra Lorenzo Pirovano, con “I camion degli altri” e “Anello di fumo” di Edoardo Belli, Rossella Granata, Elena Risi e Valentina Vivona. Lorenzo Pirovano ha 22 anni e ha girato l’Italia in lungo e in largo, tra autostrade, autogrill e uffici sindacali, per raccontare il mondo degli autotrasportatori, che spesso lavorano ai limiti dello sfruttamento.
Non solo Terra dei fuochi: Edoardo, Rossella, Elena e Valentina hanno messo in luce il percorso illegale dei rifiuti a Roma, tra cattiva gestione e buchi normativi. Al terzo posto, “Una storia sommersa”, in tutti i sensi: perché si tratta di un traffico nascosto e poco conosciuto, i cui oggetti sono proprio sonmersi, negli scavi archeologici: reperti archeologici provenienti dall’Egitto e destinati ai ricchi salotti privati, attraverso il contrabbando delle mafie transnazionali.
Alessandro Accorsi e Giulia Bortoluzzi sono due giornalisti free-lance che hanno scelto di vivere al Cairo. Un lavoro ben curato, ma la difficoltà di realizzare l’inchiesta, dovuta anche alla distanza dall’organizzazione del premio, li ha di certo un po’ penalizzati.