Per una volta parlo di me: so che è sgradevole ma, in quest’epoca di personalismi al diapason e leaderismi ostentati come la soluzione di tutti i mali, di sicuro vi risulterà meno fastidioso di quanto non vi sarebbe sembrato un tempo.Parlo di me perché qui ad essere chiamata in causa dalle crociate del Premier non è più una singola persona o uno sparuto gruppo di dissidenti: lo scontro costruito dalle tecniche comunicative di Renzi è fra due generazioni, una delle quali è la nostra.
Il messaggio del Presidente del Consiglio ai giovani è semplice ed immediato: venite con me, seguitemi e appoggiate le mie riforme che vi garantiranno comunque uno straccio di lavoro e lasciate perdere questi vecchi, questi esponenti di un tempo che non esiste più, questi sostenitori di idee ed ideologie che hanno fallito, a causa dei quali non avete né un’occupazione né la possibilità di costruirvi un futuro perché hanno sempre difeso i “garantiti”, quelli che un lavoro già ce l’hanno e, magari, anche a tempo indeterminato o, peggio ancora, sono ormai in pensione e, magari, anche con l’esecrabile sistema retributivo. Non si tratta, dunque, di un appello ma di una vera e propria chiamata alle armi, come testimonia la lettera che Renzi, stavolta nelle vesti di segretario del PD, ha inviato sabato scorso agli iscritti.
A tal proposito, la minoranza interna ha dato finalmente qualche segno di vita, invitando il Premier a smorzare i toni e a imboccare la via del dialogo prima che il confronto fra le parti diventi incandescente, a scapito del buonsenso e di ogni possibile intesa su un tema delicato come la tutela dei diritti e della dignità dei lavoratori. Il guaio è che, ancora una volta, pur avendo reagito nel modo opportuno, al pari della Camusso e della CGIL, non hanno compreso, né gli uni né gli altri, il significato profondo delle affermazioni di Renzi. Quando il nostro eroe si scaglia contro la “vecchia guardia”, infatti, non si rivolge propriamente ai Bersani o ai D’Alema, anche perché è il primo a sapere che, pur avendo conseguito il 40,8 per cento alle Europee, senza la vittoria striminzita ma comunque effettiva del PD bersaniano nel febbraio del 2013, lui oggi sarebbe al secondo mandato come sindaco di Firenze. Lo sa ma non gliene importa nulla, perché Renzi, in realtà, non si rivolge nemmeno ai militanti del suo partito, i quali per lo più lo detestano e hanno accolto questa lettera come l’ennesimo atto di arroganza di un uomo che non ha niente in comune con la loro storia e la loro idea di sinistra; si rivolge alla nostra generazione, utilizzando i militanti del PD come cassa di risonanza di un messaggio che tutti i media, come previsto, hanno rilanciato, accompagnandolo con commenti, analisi, retroscena, dibattiti, interviste e tutto l’armamentario comunicativo indispensabile al primo Presidente del Consiglio che ha elevato Twitter a emblema della sua azione politica.
Pertanto, avverto il dovere di rispondergli senza mezza termini, con la stessa franchezza che ha utilizzato lui in quella lettera, parlando ovviamente a titolo personale ma interpretando, credo, i sentimenti di tanti coetanei con i quali in questi anni ho condiviso piazze, cortei, manifestazioni, assemblee, movimenti e tanti altri splendidi momenti di discussione di cui quest’uomo, formatosi negli anni ruggenti dell’individualismo thatcheriano, fatica a comprendere l’importanza.
Caro presidente Renzi,
non è la prima volta che lei si rivolge alla nostra generazione, invitandoci ad ammainare le bandiere del passato e a riporre nel cassetto le ormai consunte ideologie novecentesche. Su questo punto, anche se le sembrerà strano, sono perfettamente d’accordo con lei: le ideologie novecentesche, pur essendo state fondamentali nel percorso umano, culturale e politico, personale e collettivo, di almeno tre generazioni, non rispondono più al contesto storico nel quale siamo immersi ed è, pertanto, giunta l’ora di consegnarle ai libri di storia. Ciò, però, non significa che oggi non ci sia più bisogno di un’ideologia e di una visione del mondo perché vede, presidente, senza un’ideologia e una visione del mondo, anche il suo pragmatismo improntato alla fattività e alla sveltezza rischia inevitabilmente di trasformarsi in ciò che stiamo vedendo da quando lei è approdato a Palazzo Chigi: un mulino che gira a vuoto, per il semplice motivo che sotto la macina manca completamente il grano delle idee.
Chi, come me, è nato quando il Muro di Berlino era ormai un insieme di cimeli da vendere ai turisti come souvenir, non può essere certo accusato di nostalgia per il passato, avendo assai poco passato alle spalle e tutto l’avvenire davanti a sé, tanto che, volendo utilizzare un’espressione leggermente retorica ma efficacissima, si potrebbe dire che la nostra è una generazione che soffre di “nostalgia del futuro”, ben sapendo di essere condannata a un avvenire di precarietà, incertezza, lavori saltuari, contratti da fame, assistenza sanitaria insufficiente e previdenza nulla, di dover lavorare fino a chissà quale età e di non potersi costruire una famiglia, di non poter avere dei figli e, di conseguenza, un domani, dei nipoti. Siamo, in poche parole, una generazione “senza”: senza dignità, senza diritti, senza tutele, senza assistenza, senza previdenza, senza rappresentanza e, quel che è peggio, senza un governo che abbia la benché minima intenzione di estendere anche a noi quei diritti e quelle tutele sacrosante che, al contrario, definisce simboli dell’“apartheid” fra “garantiti” e “non garantiti” e, dunque, mira ad eliminare anche per i pochi che ancora ne beneficiano. Peccato, caro Renzi, che, a proposito di apartheid, il suo mito Mandela non abbia mai detto di voler togliere diritti, tutele e dignità ai sudafricani bianchi; al contrario, insieme al premio Nobel Desmond Tutu, ha creato la “Nazione arcobaleno” ed esteso le suddette garanzie anche ai neri per i quali si era battuto per una vita, al punto di pagare il prezzo di questa lotta con ventisette anni di reclusione nel carcere di Robben Island.
Per questo, le faccio presente fin d’ora che, insieme a molti miei coetanei, in quest’autunno che si preannuncia rovente, sarò spesso in piazza: con la FIOM, con la CGIL e con tutti coloro che si battono per rendere i diritti universali, per difendere il concetto stesso di diritto, inteso come principio attuativo della nostra Costituzione, la stessa che lei sta stravolgendo insieme a un noto piduista, condannato per un reato gravissimo come la frode fiscale. Perché, vede, quando ho scelto di fare il giornalista, di occuparmi di politica e di militare in un partito, l’ho fatto sulla base dell’insegnamento di un altro toscanaccio che si occupava molto di scuola, uno di quei preti insoliti che si incontrano spesso da quelle parti. Si chiamava don Lorenzo Milani e asseriva: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”. Personalmente, non ho un posto in fabbrica da difendere e, rispetto alle drammatiche condizioni in cui vivono milioni di miei coetanei, non posso che dirmi fortunato o, per utilizzare una definizione a lei molto cara, “privilegiato”. Il punto è che per me essere di sinistra significa riconoscere “a tutti i cittadini il diritto al lavoro” e promuovere “le condizioni che rendano effettivo questo diritto” (articolo 4 della Costituzione), estendere a tutti il diritto ad “un’esistenza libera e dignitosa” (articolo 36 della Costituzione) e, al tempo stesso, consentire alle imprese di investire liberamente, crescere e svilupparsi in armonia col territorio, purché la loro attività non sia “in contrasto con l’utilità sociale” e non rechi “danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” (articolo 41 della Costituzione).
Quanto all’ideologia, ho più volte ribadito che oggi è indispensabile costruire insieme una grande ideologia comunitaria che faccia dell’Europa il proprio vessillo e della realizzazione di un’Unione politica, finalmente libera di esprimere le proprie potenzialità, l’orizzonte cui tendere nonché la ragione stessa del proprio impegno e della propria missione politica e civile.
Quanto ai “vecchi” che ci avrebbero rubato sogni, speranze e domani, si lasci dire infine che, su questo punto, la sua generazione ha già fallito, perché noi preferiamo di gran lunga quei “vecchi” che ci insegnano chi fossero i Beatles e ci prendono per mano con l’orgoglio e il senso di speranza di chi vede in noi l’unico futuro possibile a chi vede in noi unicamente dei voti da mettere nel carniere per poi smantellare la Costituzione, vantandosi di aver ricevuto un mandato elettorale che nessuno, in realtà, le ha mai concesso.
Anche perché, presidente Renzi, il nostro modello politico è costituito da un “vecchio” che oggi non c’è più, nato quando l’età media della popolazione si aggirava intorno ai 42 anni, il quale domandava all’interlocutore: “Mi dica, in coscienza, lei può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli ed educarli? Questo non è un uomo libero. Sarà libero di bestemmiare, di imprecare, ma questa non è libertà. La libertà senza giustizia sociale è una conquista vana”. Si chiamava Sandro Pertini e anche lui, proprio come Mandela, si è battuto per tutta la vita per costruire una società più giusta e più libera.