Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra il 23 settembre del 1985, era uno di noi: un giovane cronista che si affacciava al mondo del giornalismo, in quegli anni ’80, con la voglia di fare questo lavoro in profondità, onestà,senza dimenticare che il disvelamento della realtà, con la semplicità del racconto documentato, era la base di questo”mestiere”. Entusiasmo e curiosità, capacità di narrazione e voglia di capire quel che succedeva in quella realtà di Torre Annunziata, ma senza dimenticare che l’impegno del giornalismo passa anche attraverso l’impegno civile,lo studio dei meccanismi criminali,ma anche politici della realtà dove si vive, soprattutto quando la criminalità si intreccia con schieramenti di interessi economici e politici. Così accadeva in quegli anni ’80, così accade ancora oggi.
Giancarlo Siani apparteneva ed appartiene nella memoria , a quella generazione di giornalisti oggi cinquantenni adulti che allora cominciavano questo viaggio di cronisti,passati attraverso inchieste e speranze,racconti di un mondo che cambiava e voglia di vedere realizzati quegli ideali di giustizia e legalità che attraversavano il giovane giornalismo italiano di quegli anni.
Appartenente ad una famiglia della borghesia medio-alta napoletana, Siani, aveva frequentato con ottimo profitto il liceo classico al “Giovanbattista Vico”.Si era iscritto all’Universita’ e, contemporaneamente, aveva iniziato a collaborare con alcuni periodici napoletani, mostrando sempre spiccato interesse per le problematiche sociali del disagio e dell’emarginazione, individuando in quella fascia il principale serbatoio della manovalanza della criminalita’ organizzata, “la camorra”.
Inizio’ ad analizzare prima il fenomeno sociale della criminalita’ per interessarsi dell’evoluzione delinquenziale delle diverse “famiglie camorristiche”, calandosi nello specifico dei singoli individui. Fu questo periodo che contrassegno’ il suo passaggio dapprima al periodico “osservatorio sulla camorra” rivista a carattere socio-informativo, diretta da Amato Lamberti e successivamente al quotidiano “Il Mattino”, come corrispondente da Torre Annunziata presso la sede distaccata di Castellammare di Stabia, Comune di oltre 90mila abitanti, distante una decina di chilometri da Torre Annunziata. E cosi Siani inizio’ a frequentare quella redazione, trattenendosi a scrivere lì i propri articoli, pur non potendo ufficialmente, essendo solo un corrispondente.
Ma era accettato e si sapeva che era soltanto questione di pochi mesi, un anno al massimo e Giancarlo sarebbe stato assunto. Fu in questo lasso di tempo che Siani scese molto in profondita’ nella realta’ torrese senza tralasciare alcun aspetto, compreso e forse soprattutto quello criminale, che anzi approfondi’ con inchieste sul contrabbando di sigarette e sull’espansione dell’impero economico del boss locale, Valentino Gionta. Un’esperienza che lo fece diventare fulcro dei primi e temerari movimenti del fronte anticamorra che sorgevano. Scomodo per il crimine organizzato, d’incoraggiamento per chi aveva una coscienza civile, ma non aveva il coraggio per urlare.
Lui, invece, parlava con i suoi articoli, con umilta’, ma riusciva ad insinuarsi. Aveva capito che la camorra s’era infiltrata nella vita politica, della quale riusciva a regolare ritmi decisionali ed elezioni. La decisione di ammazzarlo fu presa all’indomani della pubblicazione di un suo articolo, su “Il Mattino” del 10 giugno 1985 relativo alle modalita’ con le quali i carabinieri erano riusciti ad arrestare Valentino Gionta, boss di Torre Annunziata (attualmente in carcere condannato all’ergastolo). Siani spiego’ che Gionta era diventato alleato del potente boss Lorenzo Nuvoletta amico e referente in Campania della mafia di Toto’ Riina.
Nuvoletta aveva un problema con un altro potente boss camorristico con il quale era giunto sul punto di far scoppiare una guerra senza quartiere. L’unico modo di uscirne era eliminare Gionta, come emerge dagli atti processuali. Nuvoletta che non voleva tradire l’onore di mafioso, facendo uccidere un alleato, lo fece arrestare, facendo arrivare da un suo affiliato una soffiata ai carabinieri. Siani venne a conoscenza di questo particolare e lo scrisse, provocando le ire dei camorristi di Torre Annunziata. Per non perdere la faccia con i suoi alleati di Torre Annunziata, Lorenzo Nuvoletta, con il beneplacito di Riina, decretò la morte di Siani.
Siani intanto continuava con sempre maggior vigore la propria attivita’ giornalistica di denuncia dei camorristi e dei politici loro alleati, proprio nel momento in cui piovevano in Campania i miliardi per la ricostruzione delle zone colpite dal terremoto del 1980. Fu ucciso il 23 settembre del 1985,pochi giorni dopo il suo 26esimo compleanno.
Questa e’ la verita’ giudiziaria dimostrata dagli inquirenti 8 anni dopo il delitto, con la collaborazione di alcuni pentiti e confermata per tutti gli imputati, (con la sola eccezione del boss Valentino Gionta,) nei tre gradi di giudizio con una serie d’ergastoli. Siani fu ucciso dunque perché aveva scritto e svelato quei meccanismi della camorra e dei suoi rapporti interni che dovevano,per i camorristi, restare segreti ,confinati nelle logiche criminali: ma che invece devono essere conosciuti dall’opinione pubblica ,per capire dove e come si organizzano i malviventi mafiosi, come si intrecciano i loro rapporti interni con quelli esterni della politica e degli affari, appalti e speculazioni,contrabbando di sigarette e di droga. E soprattutto quei soldi della ricostruzione del dopo terremoto che furono terreno di caccia e di affari per politici e camorra.
Dovere dei giornalisti è scrivere quello che si deve sapere, spiegare dove si annida il crimine: non chiudere le descrizioni ad un certo punto per non dar fastidio a qualcuno. Come si racconta nel film “Fort Apache” , la differenza tra chi decide di fare giornalismo-giornalismo e chi invece decide di fare i giornalisti tranquilli dietro la scrivania: una metafora che vale sempre, ieri come oggi; la “schiena dritta” del giornalista,ma soprattutto ,la solidarietà,lo spirito di gruppo delle inchieste,la scrittura parallela di chi sta sullo stesso fronte. Quello dell’inchiesta senza reticenze. Giancarlo Siani fu ucciso perché in quella realtà era ancora troppo isolato, perché di quei fatti si parlava ancora poco. Perché la denuncia giornalistica non aveva fatto ancora quei passi in avanti che diventarono poi patrimonio collettivo del giornalismo,anni dopo.
E questo ci deve far pensare,ancora oggi, su quanto sia necessario fare inchieste sulle mafie, denunciare i rapporti tra camorra, cosa nostra ,’ndrangheta e politica ed economia ; tenere accesi i riflettori sulle indagini a proposito di mafie, corruzione, malaffare; riflettori accesi che coinvolgono il giornalismo diffuso, dai grandi network nazionali ,ai giornali,radio e siti Web più piccoli sul territorio; attenti a che nessuno sia isolato nelle proprie realtà. Nel nome di Giancarlo Siani e dei tanti giornalisti uccisi dalle mafie in Italia in questi ultimi 60 anni.