Dove è finita la legge elettorale? Esattamente un anno fa il Senato avviava – con qualche mese di ritardo – i lavori per riformare il porcellum. Poi riformato, invece, dalla Corte costituzionale, che ha eliminato il premio di maggioranza (quello nazionale alla Camera e quelli regionali al Senato) e le liste bloccate. Se oggi si votasse, quindi, avremmo una legge migliore, perché almeno non più incostituzionale come quella con cui abbiamo eletto ben tre Parlamenti (nel 2006, nel 2008, nel 2013), tra cui quello in carica.
Le forze politiche, però, dopo essere state incapaci di modificare una legge che – stando alle dichiarazioni pubbliche – non piaceva più a nessuno (ma in realtà faceva gola a tutti) prima dell’intervento della Consulta, all’indomani di questo hanno immediatamente detto che avrebbero presto, prestissimo, approvato una nuova legge. Non era l’epoca del “passo dopo passo”, ma quella dell’”a tutta birra”. E infatti, dopo le primarie del PD, il nuovo segretario e poi il nuovo governo di cui gli fu affidata la guida per imprimere alle riforme (a tutte le riforme) un altro passo, anzi ben altra falcata, fecero della legge elettorale una priorità. La riforma delle riforme, da affrontare con la massima urgenza, appunto. Dopo che con il patto del Nazareno si era quindi scelto proprio quel modello un po’ acrobatico che un anno fa temevamo arrivasse (http://www.articolo21.org/2013/09/dal-porcellum-al-funambulus-la-legge-elettorale-che-non-verra/: un premione nazionale a doppio turno eventuale ancora con liste bloccate, soglie peggiori delle attuali e nessun collegamento con il territorio) questo fu presentato come proposta di legge che la Camera fu chiamata a approvare in tutta fretta, senza discussioni e modifiche, salvo una: la legge doveva valere solo per la Camera dei deputati perché il Senato sarebbe diventato non elettivo (forse). Trascurando il piccolo particolare che le leggi si approvano a sistema vigente e non a futura Costituzione. Ma questo era in realtà l’alibi per rinviare – ancora – l’approvazione Infatti, dopo la rapida approvazione dei deputati, il testo passava al Senato, ma, valendo solo per la Camera, il Governo e le forze politiche che avevano concorso alla approvazione della legge ritenevano che prima si dovesse avviare la riforma del Senato per renderlo non elettivo. E così ad oggi, a sei mesi dalla frettolosa approvazione da parte della Camera, il Senato non ha ancora avviato la discussione sulla legge elettorale (per meglio dire non l’ha ancora riavviata perché di legge elettorale – ma non di questo testo – il Senato aveva già discusso per tutto lo scorso autunno, a vuoto). Ma c’è di più (e di peggio): nel frattempo anche i sostenitori dell’acrobatico sistema dell’Italicum, contro un più lineare maggioritario (che bastava riprendere dalla legge Mattarella per il Senato, come più volte proposto da Civati), si sono resi conto che molte cose in quel testo non andavano. E tutti annunciano le più diverse necessità di modifica (anche in una logica di mercanteggiamento) che riportano il percorso alla casella di partenza. O quasi.
Il fatto è che ciascuno ha in mente le proprie modifiche per trarne il proprio massimo vantaggio elettorale. Ora, questo rappresenta certamente – e inevitabilmente – un elemento di valutazione da parte delle forze politiche, ma in questa circostanza sta diventando davvero l’unico aspetto considerato da ciascuno, tradendo una eccessiva preoccupazione per mantenimento dello status quo. Perché le forze politiche conoscono la propria delegittimazione presso l’elettorato (oltre quattro italiani su dieci non si riconoscono in nessuna di quelle che si sono presentate alle ultime europee) e quindi assumono un atteggiamento difensivo. Servirebbe, invece, il coraggio di pensare anzitutto a quale legge elettorale è migliore per governare con un autentico consenso popolare, con una vera partecipazione dei cittadini, dei quali recuperare la fiducia e di fronte ai quali poter essere sempre responsabili.
È per questo che un sistema maggioritario sembra il più adatto. Ed è forse per questo che, invece, è così poco preso in considerazione (nonostante, in realtà, molte forze politiche, a partire dal PD, avessero presentato proposte di legge per il ritorno alla legge Mattarella).
Intanto, però, il dato che più colpisce è che un anno dopo, nonostante lo scossone impresso dalla Corte costituzionale, sulla legge elettorale le forze politiche – pur avendone riconosciuta l’urgenza – sono ancora bloccate alla ricerca di soluzioni acrobatiche in grado di salvare soprattutto se stesse. E così, dodici mesi dopo l’avvio della discussione, dopo molti inviti alla fretta, la legge elettorale non c’è ancora.