Lo considerereste, ed a ragione, la summa della domanda retorica (cui, per imitare le triple in stile Francesco Merlo, si potrebbero aggiungere: il paradigma dell’ovvietà e l’archetipo dell’evidenza) il dilemma se sia preferibile essere operati d’appendicite da un chirurgo responsabile di come muove il bisturi nella vostra pancia oppure da uno irresponsabile. Eppure la risposta scontata a quel quesito cessa di essere lapalissiana se, al posto del medico, mettete il magistrato, quasi che libertà, reputazione e patrimonio valessero meno dell’appendice.
In contrasto con medici, architetti, ingegneri, avvocati, notai, farmacisti e tutti gli altri attori che assumono responsabilità nell’esercizio della loro professione, il magistrato è il soggetto della società civile che per legge (L. 117/1988) è talmente irresponsabile che i casi di condanna dei suoi componenti per dolo o colpa grave si contano letteralmente sulle dita di una mano in oltre venticinque anni, a fronte di milioni e milioni di casi giudiziari decisi nello stesso periodo. E’ la legge delle probabilità quella che la magistratura non vuole rispettare quando chiede di mantenere inalterata l’attuale normativa.
A pensarci bene, ciò che consente ad un neurochirurgo di introdursi tra i lobi del cervello dei suoi pazienti – col rischio di invalidarli per tutta la vita e di pagarne eventualmente le conseguenze patrimoniali – è la fiducia nella propria scienza e coscienza, nella propria capacità di saper affrontare l’emergenza che può insorgere in qualunque momento dell’intervento, è la stima nelle proprie qualità professionali, nella preparazione meticolosa, nell’accettazione dei sacrifici che l’assunzione di quella responsabilità comporta.
In due parole, è l’autorevolezza conquistata con l’esperienza.
Per converso e contrappasso, dunque, al rifiuto di assumere la responsabilità delle proprie azioni corrisponde, inevitabilmente, il rifiuto dell’autorevolezza conquistata con l’esperienza.
E, difatti, alla magistratura italiana mancano proprio l’autorevolezza ed il prestigio della competenza che invano si cerca di recuperare tramite benevoli articoli di stampa, il più delle volte compiacenti ed osannanti le capacità del pubblico ministero di turno che, poi, spesso è quello che ha passato la velina del verbale che si pubblica in spregio alle regole della segretezza processuale.
Con 250 mila avvocati iscritti negli albi italiani, si può dire che ciascuno ne abbia almeno uno tra i consanguinei ed a loro potete chiedere la stima che nutrono nell’attendibilità della magistratura.
Vi racconteranno di quella volta che hanno vinto una causa in base ad una norma abrogata dieci anni prima; di quando hanno perso la causa con motivazioni per le quali lo studente sarebbe stato perentoriamente bocciato; di quella pronuncia che manifestava assoluta misconoscenza delle regole del commercio, o delle costruzioni, o degli appalti e tante altre vicende conclusesi con concenti delusioni, se non della parte – magari vittoriosa – certamente del giurista.
Ammettiamo che il sondaggio presso l’avvocatura, per l’istituzionale contrapposizione alla magistratura, potrebbe apparire fazioso e fuorviante, ma quello che stupirà sarà comunque il numero e la qualità dei casi criticati, a conferma che la fiducia nella capacità dei giudici di risolvere con equilibrio e competenza i conflitti sociali è da tempo al lumicino.
Ma uno Stato in cui i giudici non hanno piena credibilità, fallisce nel fondamentale servizio di dirimere le liti ed occorre quindi mettere mano al più presto alle regole della magistratura.
Di fronte all’immobilismo sin qui manifestato in questo settore, non resta che intervenire rapidamente sulla responsabilità perché è il tema sul quale l’Italia è già stata messa in mora dall’Europa. L’auspicio è che, introducendo una seria legge sulla responsabilità dei magistrati, che si porrebbe a valle della formazione, del merito e delle automatiche progressioni di carriera, questa vera e propria casta venga costretta a modificare “per risalita capillare” il suo intero statuto.
L’attuale situazione è un lusso che non possiamo più permetterci al cospetto del mondo globalizzato che guarda al nostro ordinamento per eventuali investimenti e che, anche a causa delle condizioni in cui vi versa una giustizia irresponsabile, sceglie di investire da un’altra parte.
Il tutto senza disconoscere che, almeno un paio di volte l’anno, dalla magistratura vengono pronunce che commuovono per l’altezza dei concetti espressi e per la spinta che danno alla nostra società verso livelli sempre più alti di democrazia e rispetto dei diritti umani.