Per una volta, avremmo voluto volare alto, occupandoci dei concetti esposti da Draghi nel simposio dei banchieri centrali che si è svolto recentemente a Jackson Hole e che pare abbia suscitato le ire della cancelliera Merkel e del ministro Schäuble, noto falco del rigore e assolutamente contrario all’idea che il governatore della BCE, vero dominatore e punto di riferimento di quest’incerta stagione, possa concedere un minimo di flessibilità ai paesi in difficoltà che dimostrino con fatti concreti la volontà di dar vita a un programma di riforme strutturali.
Ci saremmo voluti occupare di questo e avremmo voluto collegare le parole e i riferimenti di Draghi con quelli del premier Renzi, sicuri che il nostro presidente del Consiglio non si sarebbe occupato d’altro nella conferenza stampa con la quale oggi ha annunciato il piano dell’esecutivo per i prossimi mille giorni.
Eravamo pronti, come sempre, a dare battaglia, ribadendo la nostra ferma contrarietà al “downward wage adjustment” teorizzato da Draghi, ossia alla compressione dei salari per far fronte al tremendo ciclo economico che stiamo attraversando, ben sapendo che non è deprimendo ulteriormente la domanda interna di paesi ormai allo stremo che si possa pensare di rilanciare l’asfittica economia del Vecchio Continente né, tanto meno, contrastare la piaga del debito pubblico che, infatti, continua a crescere a dismisura, divenendo ogni giorno sempre più insostenibile, a causa della contrazione del denominatore nel rapporto fra il debito, per l’appunto, e il PIL. E avremmo voluto dire a Renzi e ai suoi sodali che, per la prima volta in vita loro, devono assumere una decisione dirimente: o si schierano dalla parte di De Grauwe, Fitoussi, Stiglitz, Krugman e tutti gli altri economisti di fama mondiale che da anni denunciano l’assurdità della rotta mercantilista fin qui seguita in Europa o si schierano con Draghi, Schäuble e la Merkel contro gli interessi dell’Italia e degli altri paesi del Mediterraneo ormai sull’orlo della disperazione o già ben al di là come la povera Grecia. Senza contare che ci sarebbe piaciuto poter far presente all’eroe di Rignano che va benissimo la Mogherini nel ruolo di lady PESC ma che la Merkel non l’ha accettata, superando le ritrosie iniziali, perché profondamente convinta del valore e delle virtù del nostro ministro degli Esteri, che pure ha delle qualità ed è bene sottolinearle, bensì perché ha capito di poter trarre da questa mossa dei vantaggi incredibili a sostegno della sua linea di austerità inflessibile: dalla nomina del retrogrado Tusk alla guida del Consiglio europeo al probabile affidamento all’ultra-liberista De Guindos della presidenza dell’Eurogruppo, con l’altrettanto probabile conferma dell’affidamento all’ultra-rigorista Katainen di una sorta di supervisione sui dicasteri economici, così da depotenziare il ruolo del socialista Moscovici e da gelare le attese e le speranze dei paesi del Sud Europa in merito a una maggiore indulgenza sui conti pubblici. È davvero questo il trionfo di cui si vanta Renzi, col solito coro di cantori del suo ego al seguito? È davvero una mancanza di rispetto nei confronti della Mogherini sostenere che ci siamo privati di un buon ministro degli Esteri per sfruttare un volto nuovo e pulito come bandierina da piantare a tutti i costi a Bruxelles, incuranti degli appelli di quanti, più o meno esplicitamente, chiedevano al nostro Premier di superare le idiosincrasie nei confronti di Letta e di accettare la proposta di Van Rompuy di indicarlo come suo successore alla guida del Consiglio europeo? È davvero così esecrabile far presente a Renzi che il ruolo della Mogherini, al netto dei suoi indiscutibili meriti, sarà marginale, non esistendo una vera politica estera comunitaria, mentre quello di Letta sarebbe stato fondamentale per intaccare i dogmi liberisti della Cancelliera e dei rigoristi del Nord Europa e aprire la strada a quell’inversione di rotta senza la quale l’intera costruzione europea, a cominciare dalla moneta unica, rischia di andare in frantumi?
Di questo ci saremmo voluti occupare, ma poi abbiamo assistito alla conferenza stampa di Renzi e ci siamo domandati se il nostro amabile presidente sia per caso atterrato stamattina da Marte, dato che non ha fatto altro che auto-incensarsi, arrivando addirittura a mitizzare gli 80 euro, privi di alcun effetto sull’andamento dei consumi, e ad asserire che l’occupazione è in crescita quando i dati parlano espressamente di un Paese in crisi nera, in deflazione come non accadeva dal 1959 e di una disoccupazione giunta alla vetta del 12,6 per cento, cui si aggiungono un debito pubblico ormai fuori controllo, una vera e propria desertificazione industriale, un crollo verticale del PIL rispetto al periodo pre-crisi e un senso di sconforto che oramai pervade anche quei ceti sociali che un tempo, e anche nei primi anni della crisi, si consideravano al riparo.
E allora ci vien da dire che così proprio non si può andare avanti, che questa continua ostentazione di fiducia e ottimismo è offensiva e fuori dalla realtà, che questo atteggiamento è troppo anche per un personaggio che ha elevato Twitter a cifra culturale e politica della sua azione di governo e che, per rispondere a una domanda di Lucia Annunziata, no, Matteo Renzi non è adatto a governare l’Italia: è “unfit to lead Italy”, come scrisse proprio “The Economist” a proposito di Berlusconi.
Perché va bene il coraggio, va bene l’entusiasmo, va bene il desiderio di non arrendersi all’idea che ogni cosa sia destinata ad andare sempre male e che la crisi sia destinata a durare in eterno, va bene tutto ma non quest’auto-celebrazione stucchevole e priva di alcun riscontro effettivo, come se a Renzi e alla classe dirigente di cui si è circondato interessasse unicamente il potere per il potere, la mera gestione dell’esistente e non la volontà, la determinazione e lo slancio ideale nel provare a cambiare davvero verso a un contesto socio-economico ormai sfibrato e prossimo alla rottura.
Ci spiace, caro Renzi, ma lei soffre proprio di “annuncite” perché anche la conferenza stampa di oggi si basa solo su annunci e rivendicazioni di riforme non ancora varate o varate solo in parte e, per lo più, inutili e dannose.
E come non sarà il terzismo di Draghi a salvare l’economia europea, non sarà il suo perenne show da comunicatore istrionico a risollevare una Nazione che, mai come in questo momento, avrebbe bisogno di una classe dirigente cosciente del fatto che c’è una bella differenza fra l’organizzazione di una Leopolda e la gestione di un governo.