L’articolo 18 non è un totem. Lo dice da anni la destra – e ora anche Renzi – per smantellare una tutela sociale, che ha vertebrato il consolidamento democratico del Paese, liberando il lavoro dal ricatto del licenziamento arbitrario.
Ora questa garanzia viene considerata un ingombro alla flessibilità e, per i più politici più drastici, persino un freno alla competitività del sistema produttivo nazionale. Nulla di più errato per molti motivi. Ad iniziare dal fatto che l’art. 18 non vige per le aziende fino a 15 lavoratori, che in Italia sono la stragrande maggioranza. Ma soprattutto perché nelle medie e grandi imprese dove si applica, non si sente affatto l’esigenza di poter licenziare senza giusta causa, tant’è che la Confindustria non si è mai appassionata alla discussione.
Ma allora di che parliamo?
Di un tema politico: quello del ripristino della subalternità della classe operaia, che in questi ultimi decenni – per alcuni reazionari – ha alzato un po’ troppo la cresta. Così dopo aver già tolto valore economico ai salari per spostarlo sulle rendite, ora la destra più miope (e la sinistra più ambigua) sente l’esigenza di completare il ridimensionamento del lavoro subordinato anche in termini di tutele. Il ché aggiungerebbe insicurezza a quella già vissuta dai giovani precari, con effetti economici di un’ulteriore rarefazione della domanda interna ed incremento della recessione in atto. Ma soprattutto con l’acuirsi dei conflitti politici, accentuati dall’accrescimento della diseguaglianza sociale.
Quindi deve rimanere tutto com’è?
No, le tutele si possono anzi si devono aggiornare nelle forme, ma non nella loro natura, che è sempre quella di preservare la dignità del lavoratore.
Occorrono percorsi bilanciati di sussidi e formazione, per favorire la rioccupazione guidata dei lavoratori espulsi da settori maturi e inseribili in comparti in espansione, grazie a ricerca e innovazione. Soluzioni facili a dirsi, ma impossibili da attuare senza la bussola di una politica industriale, che intuisca le linee di sviluppo sostenibile, almeno per il medio periodo. E un sistema di collocamento che funzioni mediante percorsi seri di riconfigurazione delle competenze, superando l’attuale inerte registrazione delle esigenze.
In questa complessità di azioni, le battute salmastre sull’abolizione dell’art. 18 sono solo una manifestazione dell’incompetenza irresopnsabile del potere.
Questo sì, un totem da abbattere.
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