C’è un dilemma che mi ha sempre agitato e impedito di dichiararmi pacifista assoluto: la difesa dei deboli.
Perché penso che quando degli inermi vengono massacrati, bisogna difenderli. Anche se questo significa fare una vera e prorpia guerra.
Da credente, questa mia convinzione mi ha sempre pesato, perché penso che prima di usare la violenza – benché come legittima difesa – vadano tentate tutte le alternative. Ma non sono disposto a porgere l’altra guancia a chi ignora il dialogo e punta solo alla prepotenza. Soprattutto se la violenza si abbatte su popolazioni indifese.
Questo mio tormento è stato in parte lenito. Quando il Papa ha chiesto al Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, di fermare la strage degli Yazidi e di “fare ciò che è possibile per fermare e prevenire la violenza”. Implicitamente, la richiesta del pontefice significa che purtroppo ci sono azioni militari (guerre?) che vanno fatte, se sono l’unico modo di difendere donne e bambini da stupri e massacri.
C’è chi mi accusa per questa mia posizione di “relativismo etico”, perché la guerra deve essere sempre condannata. Forse hanno ragione, e anch’io la condanno. Però non fino al punto di essere indifferente all’aggressione dell’inerme. Forse sono in contraddizione con i miei principi, ma questo tarlo lo sopporto, l’omissione di soccorso no.
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