A Mogadiscio c’è stato di nuovo il blocco delle trasmissioni di Radio Shabelle e Sky FM: le due emittenti di Media Shabelle Network che già erano state chiuse lo scorso autunno con la distruzione di tutte le loro apparecchiature da parte delle forze dell’ordine. Ieri alle undici la Polizia Politica guidata Abdicasis Africa, l’indimenticato e sin qui mai punito stupratore, assieme a Jebril Abdi, di Fadumo Abdulqadir Hassan, giornalista di Kasmo Radio, ha fatto ingresso nei nuovi uffici di Media Shabelle Network prelevando tutta l’attrezzatura e mettendo agli arresti quindici persone, dall’editore Abdimalik Yousuf Mohamud, al direttore Mahamud Mohamed Dahir Arab, al personale delle pulizie, portandole nei propri uffici in manette.
L’irruzione è avvenuta in virtù di un editto del Presidente Hassan Sheikh Mohamud che muove alle due emittenti l’accusa di terrorismo e destabilizzazione dello Stato. Nell’autunno 2013 l’accusa era stata, invece, quella di aver occupato abusivamente dei locali pubblici. Rispondendo alle domande della notissima giornalista americana Judy Woodruff sulla chiusura di Media Shabelle Network, sebbene si tratti di un’emittente premiata a livello internazionale, il Presidente Mohamud ha parlato di infiltrazioni di Al Shabab nel 90% dei media ma a Mogadiscio nessuno gli crede e si ritiene invece che la più importante voce del giornalismo indipendente della Somalia continuasse a dare fastidio ai vertici delle istituzioni dopo aver ripreso le trasmissioni nei nuovi locali.
In realtà matura in questi giorni per la Somalia il secondo anniversario dell’abbandono delle istituzioni di transizione e dell’avvento delle istituzione federali sostenute dalla comunità internazionale con il compito di accompagnare il Paese, per un quadriennio, verso elezioni universali e l’adozione di una nuova Costituzione. A metà di questo percorso le istituzioni federali manifestano la totale incapacità di raggiungere l’obiettivo.
Le Autorità federali, col Presidente Mohamud in testa, restano rinchiuse nel compound di Villa Somalia tenendosi stretti i timbri e le insegne dei leoni rampanti con i quali si illudono di poter amministrare il Paese.
Le strade di Mogadiscio continuano ad essere circondate dalle macerie di quelli che furono i palazzi luminosi di una capitale ammirata da tutta l’Africa e da tutto il mondo. Nessuno raccoglie la spazzatura tra la quale razzolano nugoli di bambini alla ricerca di cibo mentre ad ogni angolo si raccolgono gruppi armati. La giustizia è un vago ricordo delle generazioni meno giovani mentre per quelle più recenti è un concetto estremamente difficile da comprendere.
La sicurezza è affidata alle milizie dei Signori della Guerra che le delegazioni dei Paesi in visita devono ingaggiare per raggiungere le Autorità rinserrate a Villa Somalia pagando fino a 5.500 dollari.
Anche le visite degli ambasciatori alle istituzioni somale richiedono la scorta delle milizie private col pagamento di non meno di 1.500 dollari. Nella totale assenza dello Stato e delle sue prerogative, chi vive la realtà di Mogadiscio spiega che solo il venti per cento degli attentati è imputabile agli Al Shabab – una realtà che si è fortemente indebolita ma che è comunque da tenere d’occhio – mentre il resto degli atti di sangue viene da lotte intestine di mafia, potere e traffici ancora in mano ai Signori della guerra ed ai loro miliziani. Di certo la cronaca di questo fallimento e le critiche ai suoi responsabili non possono far piacere ai vertici delle istituzione somale, anche perché rischiano di aprire gli occhi ad una comunità internazionale che preferisce lo status quo anziché domandarsi perché pagare tanto salato il conto di un simile declino in termini di vite umane e di soldi.