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Riforma dei telegiornali, il problema è di qualità

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Tra Mediaset e Rai è scoppiata la corsa a chi arriva prima a cambiare l’informazione: il Tg5 è troppo costoso e il TgCom 24 non ha sfondato; nella tv pubblica, invece, 11 testate e 1750 giornalisti, troppe troupe e troppi inviati su un singolo evento, è necessario ottimizzare le risorse per evitare inutili sprechi, ma innovare non significa necessariamente tagliare, anzi. Prima di decidere cosa fare andrebbe affrontato un altro tema che dovrebbe essere messo sullo stesso livello di quello finanziario: la qualità dell’informazione e più in generale del prodotto, stantio, lontano dai nuovi linguaggi comunicativi e dal pubblico giovane. Il ventennio berlusconiano ha portato il Medio Evo nei tg. All’epoca della lottizzazione in Rai viveva il detto: su cinque giornalisti assunti due democristiani, uno socialista, uno comunista e un professionista, ma c’era spazio per tutti, da Biagi a Montanelli, da Vespa a Zavoli, da Santoro a Lerner, da Ferrara a Minoli. Berlusconi ha imposto il regime mediatico (definizione di Umberto Eco), il potere passa attraverso il controllo dell’informazione. Il primo segnale fu quello di cacciare Montanelli dal Giornale, al suo posto un cavallo di razza per furbizia, travestito da falso indipendente, ma strisciante nei confronti dell’ex Cavaliere, Feltri, ovvero l’inventore della macchina del fango; poi fu la volta dell’ utile idiota alla Belpietro o alla Sallusti, usato nelle trasmissioni di approfondimento come un qualsiasi politico a tessere le lodi del capo. “Non faremo prigionieri”, lo slogan del pregiudicato Previti, infatti, grazie a dg compiacenti e a presidenti inesistenti, in Rai fu data esecuzione all’editto bulgaro: via Biagi e Santoro e non a caso anche il comico Luttazzi, ma non solo, Sabina Guzzanti, Rossi, Dario Fo, persino Hendel, perché la satira, nella stagione dei tg manipolati, sostituì l’informazione, solo Rai3 e Tg3 resistettero al pensiero unico. Quei fatti portarono all’autocensura, al punto che il presidente della Repubblica Ciampi tentò di scuotere la categoria: “Tenete la schiena dritta”. Quella pressione, oggi, non esiste più, grazie anche al lavoro fondamentale fatto dalla Rete e in particolare da associazioni e movimenti come Articolo21, Libertà e Giustizia, i Girotondi. Il vero problema dell’informazione è dato dalla costante perdita di qualità che ha portato al calo degli ascolti (Tg1 e Tg5 negli ultimi otto anni hanno perso circa 10 punti di share) che corrisponde al calo della pubblicità. Non può essere la finanza l’unica unità di misura da applicare al prodotto.


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