In linea di principio, la riorganizzazione per generi della Rai e l’accorpamento delle testate non possono che essere accolte favorevolmente. L’attuale ripartizione in reti e testate, distinte e contrapposte, risale alla riforma del 1975, una riforma fortemente influenzata dall’esigenza di garantire un effettivo pluralismo nella televisione di Stato in regime di monopolio. Questa “lottizzazione” aveva, pertanto, una sua logica ma oggi, in un sistema concorrenziale dominato dalla Tv commerciale e dall’inarrestabile pervasività della Tv on demand (Netflix, ecc.) che senso ha un modello produttivo imperniato sulle reti e le testate televisive, strutture obsolete e anacronistiche che a malapena producono per i loro palinsesti? La creazione di programmi innovativi e nuovi format richiede grandi investimenti e creatività; le reti non possono far altro che acquistarli – piuttosto che idearli e produrli – con la conseguenza di omologare sempre più l’offerta di servizio pubblico a quella delle Tv commerciali.
Pertanto, sia benvenuta la riorganizzazione per strutture di genere (informazione, cultura, intrattenimento, cinema-fiction, sport) che realizzano programmi e prodotti concepiti, sin dalla fase di progettazione, per essere distribuiti su tutti i media e tutte le piattaforme; sia anche benvenuta la consapevolezza che l’obiettività non è la somma di tre faziosità; ma tutto questo all’imprescindibile condizione che siano preliminarmente garantite le condizioni fondanti la legittimità del servizio pubblico: indipendenza, autonomia economica e una mission che promuova la crescita civile e culturale dei cittadini.
Una reale indipendenza la Rai non l’ha mai avuta: in un modo o nell’altro è sempre stata sotto il controllo del Governo e della maggioranza di turno. Quel poco di autonomia finanziaria che la vecchia Concessione le aveva assicurato è stata soppiantata de facto dal blocco del canone e dal prelievo forzoso di 150 milioni di euro. La mission è tutta da ridefinire, tant’è che Articolo 21 ha bandito un concorso tra gli studenti per riscrivere la nuova carta d’identità del servizio pubblico.
Per conseguire questi obiettivi sarà necessaria un’ampia mobilitazione politica e culturale: una vera e propria guerra d’indipendenza, dagli esiti tutt’altro che scontati. Pertanto, in un panorama ancora dominato dalla legge Gasparri e da una legge farsa sul conflitto d’interessi, pur apprezzando il lodevole sforzo di restituire organicità e coerenza a un’informazione pletorica e frammentata, è doveroso mettere in guardia da un’inevitabile eterogenesi dei fini che consegnerebbe la Rai al totale e indiscriminato controllo dell’esecutivo di turno.