Meglio la crisi del ’29?

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Mai una depressione è stata così lunga e devastante,ha dichiarato il premio Nobel Joseph Stigliz evocando una economia che affonda sempre di più e non sembra più capace di scuotersi. Se quella del 1929 è nota come la grande crisi ora forse dobbiamo parlare di una grandissima crisi: a sette anni dal suo inizio, la situazione economica dell’eurozona sta peggio di quanto stesse il vecchio continente sette anni dopo il clamoroso crollo di Wall Street. Nicholas Craft, lo storico dell’economia ha messo a confronto l’Europa dopo il venerdì di Wall Street e l’Europa buia del collasso Lehman. Ottanta anni fa l’impatto iniziale della crisi fu più brusco ma la ripresa più vivace e veloce. In una parte d’Europa già nel 1931 i paesi del blocco della sterlina (il Regno unito e i paesi scandinavi) decisero di abbandonare il collegamento con l’oro. La sterlina fu svalutata ma i governi furono in grado di varare decisive misure di stimolo monetario e fiscale.

Al contrario, i paesi dell’oro (Francia, Italia, Olanda) restarono ancorati al gold standard sottoponendosi a un bilancio di austerità dopo l’altro, fino a che il circolo vizioso tra prezzi in caduta, disoccupazione crescente e tagli di bilancio sempre più grandi non li costrinse a mollare l’oro e a svalutare.  Nell’economia di oggi con l’Italia nelle condizioni ormai note e la Germania che perde colpi, nessuno prevede un rimbalzo nella seconda metà del 2014. Il risultato è che a fine 2014, guardando indietro ai sette anni precedenti, l’eurozona risulterà più lontana dalla ripresa anche dei fanatici del gold standard del secolo scorso, alla stessa fase della traiettoria post-crisi. In realtà, la lunga crisi ha ridotto il PIL potenziale (cioè quello che risulterebbe  con il massimo di investimenti e di occupazione) ad esempio dell’Italia perché ha intaccato, con la chiusura di impianti e l’espulsione di manodopera, la sua capacità produttiva. Potrebbe essere una curiosità da economisti, ma il PIL potenziale è cruciale per determinare il deficit strutturale che è diventato il parametro chiave delle nuove regole europee. Deficit strutturale più alto significa austerità più severa, come rischia di sperimentare l’Italia nei prossimi mesi.

Le speranze dell’Italia sul presidente della BCE Mario Draghi si sono rivelate di attuazione difficile perché nel compromesso bancario raggiunto tra giugno e settembre nel board di Francoforte ci sono state massicce iniezioni di liquidità  ma con l’intesa di aspettare fine anno, prima di decidere nuove e incisive misure. In una parola, prima di sparare  la cartuccia del “quantitative easing”, l’acquisto massiccio  di titoli (in particolare di Stato) sui mercati, nel tentativo di inondare e drogare l’economia, come hanno già fatto le banche centrali negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Giappone. Tuttavia, di fronte all’avanzare nella crisi, anche il “quantitative easing” non appare più ad alcuni l’arma decisiva.”La Bce – ha detto un analista -ha perduto l’attimo decisivo. Avrebbe dovuto varare la misura un anno fa con i tassi ancora positivi  e un’economia ancora immune dalla spirale psicologica della deflazione ormai prevalente. “I keynesiani sono convinti che a questo punto è urgente dar vita a una massiccia manovra di bilancio con investimenti pubblici e rimpolpamento dei redditi. Subito insomma un massiccio rilancio della domanda che rianimi subito una congiuntura esangue. E’ arrivato anche negli ultimi giorni un economista autorevole come l’americano Willem Buiter a pubblicare un saggio accademico per valutare l’efficacia di quella che gli americani chiamano “elicopoter money” che significa in due parole come “assegni del Tesoro che arrivano a causa dei contribuenti.”  C’è da chiedersi se il governo Renzi ha in mente una manovra del genere nella superdepressa Italia di oggi?


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