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Media, pubblicità e terrorismo. Quando il virus non è nel computer

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Che cosa hanno in comune il video dell’assassinio di Foley e quello sulla trovata del secchio d’acqua in testa a scopo benefico a cui si prestano volentieri VIP di tutto il mondo, da George W. Bush fino a Matteo Renzi, apparso ieri su tutti i telegiornali? Niente, ovviamente. Se il primo genera orrore, il secondo merita tutt’al più una risata. Però, a pensarci bene, qualcosa c’è: l’effetto virus sui lettori e sui telespettatori attraverso i media. Quello che il premio Nobel per l’economia Daniel Kahneman (in un grande saggio scientifico di psicologia,”Pensieri lenti e veloci”, da poco ristampato per gli Oscar Mondadori) definisce “una cascata di disponibilità: un non evento che è pompato dai media e dal pubblico finché riempie i nostri schermi televisivi e diventa l’unico argomento in città” (pag 161). Un “non evento” il video sull’uccisione agghiacciante dell’ostaggio? Il video no, ma l’esecuzione, considerata nel suo contesto di guerra e di morte, certamente sì. Mentre per l’esplosione virale sul web e in tv delle secchiate d’acqua, l’effetto benefico immediato nasconde solo la promozione involontaria, ma pedagogicamente negativa, di narcisismo e conformismo. Commentando casi analoghi a quello di Foley, Kahneman ci invita a prendere atto che “nel mondo odierno i terroristi sono i maggiori specialisti dell’arte di creare cascate di disponibilità…Immagini orrende, descritte o mandate in onda senza posa dai media, inducono tutta la popolazione a stare sul chi vive”. E quando l’effetto virus esagera la minaccia, le conseguenze possono essere rilevanti, soprattutto dove, come nei nostri paesi democratici, “la risposta del sistema politico è guidata dall’intensità del sentimento pubblico”. Poi, aggiunge il premio Nobel, “è difficile convincersi con la ragione che il pericolo non è così grande e mantenere la calma”. Qui sta la nostra responsabilità di informatori, consapevoli del conflitto di interesse che esiste tra il successo editoriale e una narrazione pacata. Quante guerre (dall’attentato di Serajevo al falso incidente nel golfo del Tonkino, fino alla minaccia infondata delle armi di distruzione di massa in Iraq) hanno all’origine la diffusione “virale” di una reazione emotiva? “Anche in paesi come Israele, che sono stati bersaglio di campagne terroristiche intensive – sottolinea lo psicologo israeliano Daniel Kahneman – il numero di vittime per settimana non si è quasi mai avvicinato al numero di vittime di incidenti stradali”. Concludo questa lunga introduzione all’interessante articolo di Alessandra Borella, invitando i colleghi, in primo luogo quelli che lavorano nel servizio pubblico, a non sottovalutare mai il danno che può derivare da un atteggiamento corrivo con la curiosità e l’emotività popolare.


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