In due giorni il film che ritrae con precisione la geografia criminale della provincia di Latina è tornato sul grande schermo dell’attenzione pubblica. La malavita autoctona spara nel capoluogo, indisturbata dagli altri clan perché vive di vita propria e ha la sua manovalanza usata per far valere la legge del racket e dell’usura. Fuori da Latina c’è la guerra vera tra camorra e ‘ndrine per il controllo dell’economia e si combatte attraverso la manovalanza albanese. E’ una storia già scritta, in fondo, quella che si può ricostruire seguendo il filo rosso degli episodi di cronaca che in 72 ore hanno investito l’agosto apparentemente tranquillo dell’agro pontino.
Saltano gli equilibri fra i clan. Quattro colpi di fucile in una notte contro la pizzeria al lido di Latina che già a maggio aveva subito altri due attentati. Sempre la stessa. Chi ha colpito aveva certamente fatto un sopralluogo ed è fuggito in una zona che conosce. La polizia segue, quindi, la pista locale in una battaglia che potrebbe essere nata per qualsiasi motivo o forse solo perché a Latina città si sono rotti degli equilibri nell’ambito del controllo dell’usura e del mercato degli stupefacenti. Neanche 24 ore dopo il titolare di una tabaccheria è stato gambizzato. Alle 4 del pomeriggio un uomo col casco integrale, sceso da uno scooter gli ha sparato alle gambe, con precisione che gli investigatori definiscono «chirurgica». Dunque un avvertimento in piena regola e mentre la squadra mobile lo stava ancora analizzando un altro ristorante nello stesso quartiere ha subito un cosiddetto «attentato lieve», un tentativo di incendio domato dallo stesso titolare ma di cui è certa la matrice dolosa. A Latina si spara e si intimidisce così. Nessuno in queste ore sta cercando i possibili autori e mandati fuori dalla cintura urbana perché atti processuali e storia recente dicono che in città esiste una criminalità autoctona e indipendente, riconosciuta e probabilmente rispettata anche dall’esterno.
Ultime indagini contro i boss sul territorio. Latina, come è scritto in atti del primo processo di mafia per fatti avvenuti in questa provincia (il processo ‘Anni 90) è l’unico posto in cui il clan dei casalesi ha rinunciato ad entrare. Ci aveva provato Ettore Mendico, che rappresentava la cellula casertana insediata nel sud pontino, ma ha desistito. Quindici anni più tardi, nel 2010, la guerra criminale interna ai clan locali ha prodotto due omicidi in 48 ore. Oltre Latina e oltre i suoi canali di bonifica le cose vanno diversamente come provano gli ultimi quattro arresti effettuati dal Gico a Bari, dopo aver intercettato una macchina con un chilo di tritolo compresso destinato ad un attentato eclatante da portare a compimento a Fondi ai danni di una ditta di import export di ortofrutta di cui si conosce il nome. L’indagine non è finita perché gli arrestati sono manovali albanesi (più un mediatore italiano) di organizzazioni più importanti che in questo momento si stanno giocando a carte (e dinamite) il business del trasporto dell’ortofrutta da e per il Mercato Ortofrutticolo di Fondi, in danno dei molti operatori locali cui non restano che pochi spiccioli.
Silenzi e dimenticanze. E tutto questo, si svolge sotto gli occhi pressoché indifferenti del proprietario di Mof spa, la Regione, la quale in queste settimane di ferie non ha trovato (ancora) il tempo né il modo per esprimere almeno solidarietà alla vittima dell’attentato che è stato evitato solo in extremis e grazie al lavoro del Gico che adesso è a caccia dei mandanti. Ma è stato già chiarito dagli investigatori che si tratta di organizzazione di alto livello. Quelle che solitamente si interessano del Mof.
*Graziella Di Mambro, vicedirettrice de “Il Quotidiano di Latina”