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L’addio di De Bortoli e la fusione “Stampa” – ”Secolo XIX”. I giochi dei poteri forti sui media

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L’uscita di scena di Ferruccio De Bortoli dal Corriere della Sera e il progetto avanzato di fusione tra La Stampa degli Agnelli e Il Secolo XIX dei Perrone sono un tassello del nuovo “Big Game” nel mondo dei media italiani, che preannuncia una stagione ricca di colpi di scena e di rimescolamento di alleanze tra vecchi e nuovi nemici-amici, tra settori dei “Poteri forti” ieri in lotta e oggi sulla via della spartizione del prodotto merceologico che più conta nelle democrazie: la gestione dell’opinione pubblica, specie in una fase di forte crisi economica e produttiva e di rivolgimenti sociali e culturali.

Strano interludio quello che separa il giornale più autorevole d’Italia , Il Corriere della Sera, e i suoi lettori da qui fino alla primavera inoltrata del 2015! Come se fosse un anchorman TV all’americana, il direttore De Bortoli preannuncia con 8 mesi di anticipo, il suo addio, dopo tanti anni al timone del quotidiano della borghesia meneghina e padana. In Italia non era mai successo prima e, soprattutto, non era mai accaduto che si fosse fatto un accordo transattivo su una buonuscita da 2,5 milioni di euro. Strano, come un  giornale che fa la morale agli sprechi e alle diseguaglianze, fissi un cifra così elevata che sa tanto di “invito alla non belligeranza” per gli anni a venire!

E che dire alle migliaia di giornalisti che vivono in stati di crisi (e il Corsera non fa eccezione!), di ristrutturazioni aziendali, di prepensionamenti e di buonuscite ridotte, remunerate addirittura a cinque anni dall’uscita?

Non è proprio un bello spettacolo! Specie per quei settori, quei “Salotti buoni”, che fanno il controcanto alle “spending review” nella pubblica amministrazione, ai tagli e ai sacrifici, tanto cari al governo Renzi-Del Rio-Padoan-Napolitano, e che si affannano giorno dopo giorno ad elargire consigli, tramite autorevoli commentatori, economisti, polemisti e “maitres à penser” ben retribuiti, specie contro sindacati e movimenti che invece pretendono migliori retribuzioni, meno tasse e più equità sociale.

E  che dire poi del tetto posto dal presidente del consiglio Renzi, di 240 mila euro annui a tutti (meno qualche “fortunato”) i top manager pubblici e parapubblici, e a cascata anche per i dirigenti di “seconda fascia”?

Ma i top manager delle società private godono di privilegi atipici, perché, si dice, devono concorrere sul mercato?

E quello dei media in Italia lo si può chiamare “Mercato”?

Delle vacche, forse!

Se c’è in Italia e in Europa un settore più oligopolista, dagli intrecci proprietari a volte inconfessabili con banche assistite dallo stato, industrie che vivono con le commesse pubbliche e le “rottamazioni” periodiche, gli aiuti statali previdenziali, sempre in stato di crisi (per i giornali sostenuti dal loro istituto previdenziale, l’Inpgi): ecco, è proprio questo, il settore dei media, dove migliaia e migliaia di giornalisti, per lo più giovani, lavorano per 5/10 euro al pezzo al giorno, altri “più garantiti” con qualche speranza di contratti definitivi sui mille euro e altri ancora più “fortunati” che guadagnano poco più di 2 mila euro al mese con la scure sulla testa di licenziamenti, cassa integrazione e contrati si solidarietà. Mentre gli Editori, non “puri” come nel resto del mondo capitalistico, ma con interessi su tutt’altri settori, si spartiscono sfere di influenza politico-finanziaria e ricavi.

Il Corriere della Sera, ovviamente, non fa eccezione a questo panorama italiano critico. Anzi, da qualche anno, dentro e fuori i corridoi del quotidiano di Via Solferino (sede oggi venduta per risanare i debiti enormi dovuti anche ad operazioni editoriali disastrose fatte in Spagna), si sta disputando una guerra senza esclusione di colpi tra i maggiori azionisti, un tempo riuniti nel cosiddetto Patto di sindacato.

Della Valle, Cairo, Rotelli, da una parte, gli Agnelli e Mediobanca, dall’altra, più alleati vari del “capitalismo bene” italiano, i “poteri forti” che ancora incidono anche sulle sorti di maggioranze e politiche di governo, sono ai ferri corti, anche se non hanno ben chiaro quali strategie adottare per uscire dalla crisi economica che attanaglia le loro rendite di posizione né come e chi scegliere per governare il dopo-crisi: neo-liberismo, neo-keynesianesimo, più intervento pubblico, meno welfare, centrodestra o centrosinistra, ecc.?

Vecchi nemici storici, come De Benedetti e Berlusconi, ma anche gli Agnelli, hanno iniziato a “dialogare” nel promettente mercato della pubblicità “online”, per cercare di porsi come competitor a Google, Amazon, eBay, Microsoft e gli altri OTT (i cosiddetti Over the top, gli operatori web che detengono il monopolio di comunicazione, pubblicità e commercio online per  decine di miliardi di dollari globali di fatturato e regimi fiscali agevolati).

Le società A.Manzoni, Banzai Media, Italiaonline, Mediamond e Rcs MediaGroup hanno costituito di recente una nuova concessionaria pubblicitaria specializzata nell’offerta di soluzioni di “video display advertising”. Si chiama Gold 5. La Manzoni (De Benedetti) è la concessionaria del gruppo l’Espresso, Mediamond (Berlusconi) cura la raccolta online di Mondadori e Publitalia, RCS MediaGroup (Agnelli e co.) fa lo stesso per i prodotti web tv e radio del gruppo. Gli altri “minori”, ma con quote paritarie sono: Banzai, che gestisce il portale ePrice, concorrente italiano di Amazon e di eBay; Italiaonline del magnate egiziano Naguib Sawiris (ex-proprietario di Wind, poi ceduta ai russi), presente nelle Tv via Web e nelle TLC a livello mondiale, gestore di Libero e Virgilio.

Si tratta del nuovo Eldorado per uscire dalla crisi che sta affossando la libertà di stampa e il pluralismo nella comunicazione in Italia (la previsione per il 2014 è di oltre 200 milioni di dollari di fatturato per Gold 5, rispetto al miliardo e oltre per i player americani come Google, ecc.). Insieme all’altro business della gestione delle torri di trasmissioni per le TLC e TV satellitare, digitale terrestre e mobile, dove sono già protagonisti insieme sia De Benedetti sia Berlusconi con loro rispettive società e azionisti amici.

In tutto questo panorama in ebollizione, è assente un’idea strategica di “Sistema Italia”, ovvero restano muti la politica e il governo, impegnati in un braccio di ferro per modificare il Senato, la legge elettorale e affossare i “pesi e i contrappesi” della Costituzione. Eppure parliamo di un settore che interessa centinaia di migliaia di lavoratori a vario titolo, dipendenti e autonomi, che può sviluppare giri d’affari per decine e decine di miliardi l’anno e che condiziona in maniera determinante gli orientamenti dell’opinione pubblica.

I “Poteri forti” si stanno riposizionando, insomma, alla faccia di leggi Antitrust e sul Conflitto di interessi, che in Italia sono evanescenti. Ma gli altri, quelli ormai “deboli”, come i partiti e le istituzioni repubblicane, subiscono ancora una volta il procedere degli eventi. Aspettiamoci quindi di osservare i cambiamenti di rotta editoriali sia dei maggiori quotidiani, sia delle Tv, pubblica e private, nei confronti del governo Renzi e di campagne lobbistiche volte a far approvare questo o quel provvedimento più consono ai loro desiderata. Per poi, eventualmente, gestire le elezioni anticipate nel 2015!


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