In tutta, tutta, la Palestina ora si festeggia. Non si festeggia solo il cessate il fuoco, che sarebbe il minimo, dopo 51 giorni di particolare ferocia che solo chi è sporco dalla testa ai piedi di malafede o di ignoranza non riesce a chiamare col giusto nome di crimine di guerra. Non si festeggia solo il cessate il fuoco ma si festeggia la vittoria. E non soltanto la vittoria di Hamas, che pure conterà molto nei prossimi mesi, ma la vittoria che da Gaza si espande ed è condivisa in tutta la Palestina.
Gaza ha pagato caro ma ce l’ha fatta. Non è finita, è solo il primo passo, ma è il primo passo significativo. Per la prima volta le divisioni interne sono state messe all’angolo e ora tutti i palestinesi, di qualunque colore sia il loro stendardo, stanno festeggiando nelle strade, nelle piazze, perfino tra la polvere delle rovine prodotte dagli F16 che con accanimento disumano hanno tagliato la vita a circa 2200 persone. C’è qualcosa che né Israele né i suoi alleati, compresi quelli di casa nostra, hanno saputo sconfiggere: la forza della dignità e, insieme, la straordinaria forza della vita che ha risposto per ogni bimbo ucciso con 10 bimbi nati per raccoglierne il testimone.
A metà agosto l’Unicef comunicava che in un mese e mezzo Israele aveva fatto strage di 450 bambini (poi purtroppo saliti a circa 520) ma comunicava anche la nascita, nello stesso periodo, di 4.500 bambini vivi e belli, nonostante le condizioni terribili in cui erano avvenuti i parti.
Di molti dei bambini uccisi abbiamo le immagini delle loro risate, dei loro vestiti di festa o del loro compleanno, immagini solari che si sono decomposte sotto le bombe che hanno frantumato quei corpi. Se la legalità internazionale avesse fatto il suo corso, se Israele non fosse stato rifornito di armi, peraltro vietate come le “dime”, quei bambini seguiterebbero a ridere e i 2.200 morti e i 10.800 mutilati e feriti non ci sarebbero stati.
Se ci sarà finalmente un banco degli imputati, Israele non dovrebbe sederci da solo, chi lo ha sostenuto ne dovrebbe condividere le responsabilità. E questo non solo per rendere giustizia al popolo palestinese, ma per salvare Israele dalla sua stessa “malattia”, come chiedono sempre più intellettuali e democratici israeliani, e per dire ai popoli del mondo – che ci credono sempre meno – che la Giustizia esiste, anche se il suo percorso è ricco di ostacoli.
Intanto nelle strade di Gaza, della Cisgiordania, dei campi profughi in Libano e in Giordania si ride, si canta e si respira l’aria della vittoria. La vita, che in Palestina è sempre e comunque “in agguato”, malgrado le azioni quotidiane o periodiche dell’IOF, esplode di nuovo. Dagli ospedali di Gaza stanno arrivando richieste per gli impianti solari per dare energia alle sale operatorie e sconfiggere la morte quanto più possibile. Dalla popolazione infantile arriva la richiesta di riaprire le scuole, quelle strutture di “formazione dell’uomo e del cittadino” che l’aviazione israeliana ha bombardato senza pietà.
Ma mentre si festeggia è bene non dimenticare il lavorio martellante eseguito da molti “opinionisti”, anche di piccolo cabotaggio, oltre a quelli di maggiore autorevolezza, i quali, dopo aver esaurito il repertorio della “corruzione nell’Anp” si sono sbizzarriti su Hamas, spendendosi in fantasiose affinità con l’Isis al fine di impedire un sostegno unitario alla lotta che si è svolta a Gaza per la libertà e la dignità di tutto il popolo palestinese. Hanno affondato le loro penne sui contrasti interni alla fazioni palestinesi, dimenticando il senso di unità, di “fronte”, che si stava creando contro l’occupante e dimenticando spesso, anche la natura dell’occupazione.
Seguendo il tormentone dettato ai media e recitato con maggiore o minore abilità da quasi tutti i nostri opinion maker, in una sorta di coazione a ripetere che ha contagiato anche molte persone oneste, abbiamo letto e sentito che la colpa dell’eccidio stava nei razzi lanciati da Hamas e dalla Jihad. Abbiamo visto scambiare i ruoli tra vittime e carnefici e tra occupati e occupanti. Abbiamo sentito parlare di scudi umani senza mai una parola di vera condanna verso Israele che ignorando la loro eventuale (e mai dimostrata) funzione di scudi li ha regolarmente assassinati.
Abbiamo saputo che grazie a quella debolezza umana che a volte porta un disperato a farsi spia, alcuni capi di Hamas sono stati uccisi radendo al suolo le case in cui si trovavano e con chiunque vi si trovasse dentro. Non abbiamo mai sentito ipotizzare che se i capi dell’IOF fossero stati uccisi bombardando le loro case sarebbe stato l’equivalente di ciò che Israele stava regolarmente facendo a Gaza e “occasionalmente” anche in Cisgiordania. Hamas non aveva le armi per farlo, ma se le avesse avute avremmo di nuovo sentito dire dai nostri geni della comunicazione che uccidere un capo dell’IOF è un atto di terrorismo mentre uccidere un capo di Hamas è atto giusto e pertanto non punibile. Per fortuna, pur nel nostro panorama mediatico tanto ossequiente, ci sono eccezioni rispettabili. Poche, ma proprio per questo degne di grande rispetto. Esattamente come nella stampa israeliana.
Abbiamo sentito i difensori di Hamas ripetere che Hamas spara solo dei razzetti più o meno innocui e abbiamo sentito i suoi accusatori dire che Hamas ha armi raffinate e pericolosissime. Proviamo a riflettere senza faziosità: se Hamas avesse avuto solo razzetti la situazione oggi sarebbe come nel gennaio 2009 dopo piombo fuso. Hamas non ha certo le armi di Israele, ma ha qualcosa di più che quattro razzetti innocui e, da chiunque li abbia avuti, li ha utilizzati per dire a Israele che Gaza non è più un agnello sacrificale che si può sgozzare senza rischiare neanche un graffio. Anche dal sud del Libano è arrivato un avvertimento a Israele, era l’equivalente armato delle manifestazioni pacifiche che si sono svolte nel mondo, diceva così: Gaza non è sola, ci siamo anche noi.
Abbiamo sentito dire che Israele doveva difendersi dai gazawi che scavavano i tunnel, ma, come per un’interruzione di corrente raziocinante, i nostri analisti dell’informazione non hanno mai ricordato che i tunnel sotterranei sono il portato dell’assedio illegale che rende Gaza un campo di concentramento.
Abbiamo sentito dire che i soldi arrivati alla dirigenza di Hamas finivano in lussuose ville mentre il popolo era alla fame. Ora, mentre una parte dei tunnel veniva distrutta dagli F16 israeliani, veniva detto che mentre il popolo era alla fame i dirigenti di Hamas facevano costruire i tunnel. Insomma non erano più le ville ma i tunnel gli affamatori del popolo gazawi e, ovviamente, non l’assedio. Per cui Israele, usciva regolarmente assolto.
Ma oggi la Palestina è in festa perché sa che attraverso tutti quegli uomini, quelle donne, quei bambini massacrati senza accettare di genuflettersi è stato detto al mondo VOGLIAMO LA LIBERTÀ perché è NOSTRO DIRITTO. Vogliamo che vengano rispettati i diritti umani perché, appunto, sono anche i nostri diritti.
Oggi godiamo con tutto il popolo palestinese questa vittoria costata tanto sangue, ma senza dimenticare che se Israele non finirà davanti alla Corte penale internazionale, si sentirà libero di ripetere le sue periodiche mattanze e il sacrificio di Gaza non sarà servito a molto. E i popoli del mondo sapranno che la strada per la Giustizia è ostruita da troppi ostacoli perché l’umanità possa sperare di raggiungerla. Per questo, anche per questo, sprecare la vittoria che oggi si festeggia, sarebbe un altro crimine.