Credevo di essere un inguaribile pessimista quando, in alcuni articoli scritti nelle ultime settimane, cercavo di mettere in luce alcuni tra i problemi essenziali e, a mio avviso, urgenti del Paese in cui viviamo. E citavo allora, prima di tutto, la questione – che ha ormai secoli alle spalle – del divario tra le varie parti dell’Italia e le condizioni complessive in cui è tutto l’edificio della pubblica istruzione, concentrando la mia attenzione per ovvi motivi sull’istruzione universitaria che si trova in condizioni davvero gravi come ha scritto con molta precisione il collega filologo Piero Boitani che qualche anno fa ebbi la fortuna di conoscere e frequentare. Ma a frequentare l’una e l’altra questione (la prima perché se c’è una questione che occorrerebbe affrontare in termini nuovi e penetranti è proprio quella che una volta si ricordava come “la questione meridionale” e che oggi, in maniera molto più asettica e critica, si ricorda come quella del crescente divario tra il Sud e il Nord del Paese e la seconda da parte di chi ha trascorso in quelle aule la parte di gran lunga maggiore della propria esistenza e quando scrive i suoi libri pensa soprattutto alle nuove generazioni come ai lettori ideali dei propri tentativi di ricostruzione di qualche frammento del passato più o meno vicino. Ebbene, per quanto riguarda, la prima delle questioni che abbiamo evocato, gli ultimi dati che emergono dalle statistiche delle agenzie pubbliche e specializzate (come l’Agenzia per lo sviluppo del Mezzogiorno, più nota tra gli addetti ai lavori, con la sigla SVIMEZ) nel suo rapporto 2014 presentato alla Camera, deve registrare che l’Italia è sempre più spaccata in due: se al Nord ci sono timidi segnali di ripresa, nel Sud negli ultimi sei anni i consumi sono crollati del 13 per cento, più del doppio rispetto al resto del Paese (-5,7%). Cattive notizie arrivano anche dagli investi menti nell’industria, diminuiti del 53% (mentre nel Centro-Nord il calo è stato del 24,6 %.). Secondo l’indagine, oltre due milioni di famiglie (divise equamente tra il Nord e il Sud) si trovano nel 2013 sotto la soglia della povertà assoluta (che al Sud è aumentata del 2,8% contro l’0,5 % del Centro-Nord. La regione più povera (oppressa, devo aggiungere, dall’associazione mafiosa più potente di tutte, cioè dalla ‘ndrangheta) è la Calabria mentre la più ricca, e non è una novità, è la Valle di Aosta. La seconda questione è la pericolosa illusione che sembra essersi sparsa anche presso una parte delle giovani generazioni di studiosi è che, andati in pensione quelli della mia e delle successive vicine generazioni, nuovi professori più giovani saranno chiamati a sostituirli (nello stesso numero) e a rinnovare gli studi e i metodi di insegnamento. A leggere con crescente angoscia la testimonianza di Boitani (ma la mia nell’Università di Torino dove sono ritornato di recente a insegnare Storia della Mafia) l’esperienza è la medesima: biblioteche poco attrezzate e con scarsi fondi per l’incremento degli acquisti, laboratori nelle stesse condizioni, aule da contendersi per far lezioni o seminari e si potrebbe purtroppo continuare. Ma non è proprio da quei luoghi che dovrebbe venir fuori la leva nuova degli studiosi che dovrebbero formare i successori di Renzi e dei suoi colleghi nel governo e nei gruppi parlamentari? Credo di sì almeno in parte ma le premesse, a giudicare le nostre testimonianze, non sono molto confortanti. E allora che cosa succederà? La risposta oggi e più che mai difficile.