I segnali negativi che hanno caratterizzato la crisi che ha investito l’Europa si sono stabilizzati a partire dal marzo scorso dopo che una seconda recessione, seguita a quella intervenuta nel 2009-2010, si è realizzata nel 2011. Nonostante qualche dato positivo, da questa seconda recessione che ha avuto luogo nel 2011, non siamo mai riusciti a riprenderci. Il nostro PIL continua ad oscillare intorno allo zero e l’occupazione è stagnante. Questo è un dato che deve indurci a riflettere perché è la prima volta che avviene dopo la seconda guerra mondiale. E’ la prima volta, se non sbaglio, che dal 2011 c’ è uno scollamento così grande dell’andamento ciclico nazionale da quello degli Stati Uniti, paese a cui siamo legati da più di un punto di vista. La fondamentale differenza tra noi e gli Stati Uniti sta nelle politiche finanzia rie, fiscali e monetarie messe in atto dal 2008 in poi. Nel grande paese del Nord-America le caratteristiche delle politiche adottate sono state: la tempestiva e massiccia azione di acquisto di titoli finanziari e pubblici da parte della Banca Centrale; tempestiva azione di ricapitalizzazione delle banche. Al contrario, nella zona dell’Euro la risposta fiscale è stata, nel suo insieme, restrittiva: si è enfatizzato il problema del consolidamento del debito invece che concentrarsi sullo stimolo della domanda interna. La politica monetaria, inizialmente tempestiva ed efficace, ha poi rallentato lo stimolo: da due anni il bilancio delle Banche centrali dell’euro sistema è in contrazione e si esita ad usare lo strumento del quantitative easing (acquisto quantitativo) alla domanda nonostante l’inflazione – il cui dato più recente è un tasso annuale dell’0,4% – sia in ribasso a partire dal 2011. Il terzo elemento da prendere in considerazione è il ritardo, a sei anni dall’inizio della crisi, con cui abbiamo affrontato il problema della ricapitalizzazione delle banche. I risultato della politica condotta fino a questo momento è non soltanto la debolezza, non ancora superata, dell’economia reale ma anche l’aumento del rapporto tra il debito totale (privato e pubblico) e il Prodotto industriale lordo. Per la politica fiscale, a livello continentale, il problema è costituito dalla differenza del debito pubblico tra i diversi paesi dell’Unione, differenza che preoccupa i Paesi creditori perché non vogliono esserne in nessun modo essere gli impliciti bersagli. Di qui nasce anche l’avversione della Banca centrale europea a politiche monetarie che possano suggerire un implicito finanziamento di alcuni Paesi.
A questo punto è il caso di dichiarare che la crisi corre il rischio di fermare la ripresa non soltanto nei paesi deboli ma anche nei più forti come la Germania o altri a lei vicini. Il percorso è tutt’altro che facile perché comporta il coordinamento tra un’autorità federale indipendente come la Banca centrale europea e diverse autorità nazionali come in primo luogo i governi dei Paesi dell’Unione Europea. Occorre quindi nel semestre italiano o comunque nei prossimi mesi indicare norme e criteri che rendano possibile un’azione efficace e coordinata per uscire dalla crisi che ancora ci investe e non ci da requie.