BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Da Orbán a Woody Allen, Caffè del primo agosto

0 0

Ormai lo sappiamo. Messo in difficoltà, Matteo Renzi punta tutto su se stesso, indossa il casco e va avanti. Ieri ha detto che taglierà la spesa senza Cottarelli, ha candidato ufficialmente Mogherini per la politica estera dell’Europa, ha promesso la riforma costituzionale a dispetto del Senato (di cui la sua maggioranza ha perso il controllo), le elezioni senza Vendola (visto che quest’ultimo lo accusa di autoritarismo), ha annunciato che cambierà l’Italicum grazie a un nuovo “patto parlamentare” con Berlusconi.

Dunque #staiserenaItalia, in Renzi e per Renzi. Tutto il resto è noia. Noioso e circoscritto incidente anche la sconfitta di governo e maggioranza nell’aula di Palazzo Madama, a scrutinio segreto: Renzi ha corretto Picierno e Nicodemo: “non sono tornati i 101” (ovvero, io non sono Prodi né Bersani), ma poi ha accusati i nuovi “dissidenti” – perché noi “vecchi” ci mettiamo sempre la faccia – “di non aver coraggio e di votare incappucciati”.

Il titolo più “renziano”, sul Corriere della Sera (giornale in transizione, Ferruccio De Bortoli lascerà la direzione, dopo aver gestito una transizione lunga 6 mesi). “Tagli e riforme, Renzi reagisce”. Quello più preoccupato, sulla Stampa: Renzi scarica i “tecnici” e finisce sotto in senato”. Tentativo di sintesi, su Repubblica: “Governo battuto, è caos in Senato. Renzi sfida Junker. Mogherini alla UE”. Il Giornale simpatizza apertamente: “Agguato Pd a Renzi”. E raccoglie la voce secondo cui l’agguato si dovrebbe all’ex tesoriere del Pd, Ugo Sposetti, per conto di Massimo D’Alema, ormai ex candidato in Europa. Il Fatto torna sul “patto parlamentare” del Premier con Mister B: “Ultimo segreto del Nazareno. Sul Colle tutti tranne Prodi”. Ora e sempre 101!

Lasciate ora ch’io torni cronista politico, a usare il mestiere che provai ad imparare da Luigi Pintor. In “Nave senza Nocchiero in gran tempesta” già ieri raccontavo come la pentola in ebollizione del Senato fosse alla fine scoppiata nel voto segreto per attribuire alla Camera Alta competenze anche in materia di diritti “sensibili”. Lo stato maggiore del gruppo Pd era subito entrato nel panico, aveva voluto a ogni costo evitare lo scrutinio segreto sulla riduzione a 500 del numero dei deputati, con Zanda, aveva strattonato il Presidente Grasso, il quale, alla fine, aveva deciso: voto palese, scatenando l’ira  di Lega e M5S, al grido di  “libertà, libertà”. Seduta sospesa, per riunire l’Ufficio di Presidenza. Tra i giornalisti si diffonde la voce che Grasso, novello Tejero, abbia minacciato di sedare, con la polizia, i tumulti d’aula. Le opposizioni si ritirano, il Senato attende.

Alla ripresa – sono ormai passate le 21 – un Pietro Grasso ferito, spiega, con la mano sul cuore, di aver parlato di polizia del Senato, magari di aver potuto fare confusione tra aula e udienza, dopo 42 anni trascorsi da magistrato. È visibilmente prigioniero degli eventi, si aggrappa con tutto se stesso a un filo di dialogo con le opposizione. Le quali sembrano ammansite, ma non tanto da non riservare i loro strali al Presidente del Consiglio, che accusano di rifiutare il confronto e inchiodano a certe sue frasi per la stampa “perdono tempo per non perdere la poltrona”, “senza coraggio votano incappucciati”. Zanda, con il soccorso di Ichino e Sacconi chiede che si torni a votare. Secondo Forza Italia è arrivato l’ordine da Palazzo Chigi: avanti tutta, per mostrare che solo di un incidente si è trattato.

Grasso prova a seguire ancora una volta l’indicazione della maggioranza, ma la Lega tira fuori cartelli già pronti: “Il voto appartiene al popolo”, “Grasso e Renzi ladri di democrazia”. Intervengono i commessi, travolta, la senatrice Bianconi (NCD) finisce in ospedale, Consiglio (Lega) viene prima soccorso da Scilipoti, poi in barella trasportato in infermeria.

Certo la gazzarra era preparata, ma davvero serviva quel voto in più nella notte? Cosa sarebbe cambiato se in serata si fosse discusso – come proponevano i pontieri – del decreto carceri, per tornare stamani, dopo qualche ora dii sonno, a occuparsi della riforma? Mutuando l’invito del Papa contro le guerre, lancio l’hahstag @dialogoperfavore.

Ma non si dialoga. Renzi ha appena detto che ogni settimana di questo scempio, in Parlamento e del Parlamento,  rappresenta per lui un punto in più nei sondaggi. È possibile. E allora trasformiamo il Parlamento nel luogo in cui si ratificano i patti conclusi dal premier e si vota soltanto? E se il patto non funziona un altro patto detterà la correzione all’aula? Declino della democrazia

Orbán, premier ungherese di destra, osserva come Singapore, Cina, India, Turchia, Russia facciano già a meno della democrazia rappresentativa, “sono sistemi non liberali, ( e tuttavia) lanciati alla conquista dei mercati mondiali”, come scrive oggi sul Corriere Maria Serena Natale. Purtroppo è vero, ma io penso che l’Europa debba essere l’eccezione, proporsi come la patria della cultura e della tolleranza, difendere e promuovere le istituzioni rappresentative, trarre orgoglio dal suo welfare, difendere la campagna come opera d’arte e l’agricoltura a chilometro zero, diventare la Fondazione di Asimov in un mondo in subbuglio. Europa testimone di pace. Punto fermo, alfa e omega, memoria e progetto di futuro.

Con Woody Allen, risponde Giuliano Ferrara:“il socialismo è morto, il capitalismo non si sente tanto bene, la democrazia ha una forte febbre, e anche noi siamo tutti un po’ stanchi”.

Da corradinomine.it


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21