Rassegnatevi: siamo la casta intoccabile, vogliamo l’impunità e ce la prendiamo con l’immunità. E’ questo l’urticante messaggio arrivato dalla Commissione affari costituzionali del Senato, che – nonostante il dilagare della corruzione politica – ha votato per l’immunità dei nuovi senatori. Uno schiaffo a chi chiedeva lo smantellamento di una tutela nata per scongiurare l’abuso giudiziario contro il Parlamento, trasformatasi nel tempo in un abuso parlamentare contro la giustizia.
Per spezzare l’autoreferenzialità della decisione è stato invocato l’intervento imparziale della Corte Costituzionale. Ma impropriamente, perché questa giudica della conformità delle norme – e non dei comportamenti – ai principi costituzionali. Come se n’esce? Renzi ne vuole parlare con i Grillini, giustamente indignati da un’immunità rientrata dalla finestra, ma sembra più una formalità che la volontà di trovare soluzioni diverse.
Ma forse una via di uscita potrebbe essere quella di una “autotutela” del Parlamento.
Ovvero – una volta decisa l’applicazione dell’immunità a favore di un indagato – si potrebbe prevedere il potere di impugnare tale decisione da parte di una quota qualificata degli stessi colleghi parlamentari (un terzo?), che ravvisando un abuso di tutela per mancanza di fumus persecutionis, chiedono un pronunciamento in tal senso alla Corte Costituzionale.
La Suprema Corte allora non deciderebbe sulla rilevanza penale dei fatti attribuiti al parlamentare, ma sulla logica giuridica seguita dalla Commissione di garanzia nell’applicazione dell’istituto dell’immunità, per verificare se ci sia stata una eccezione ingiustificata al principio costituzionale di uguaglianza.
Insomma, una soluzione per la immunità che contemperi terzietà di giudizio ed indipendenza del Parlamento si può trovare. Anzi, si deve. Perché la vecchia riedizione della immunità autoreferenziale sarebbe la conferma di un arrogante privilegio, ormai ritenuto inaccettabile dall’opinione pubblica.
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