Un anno senza padre Paolo. Un anno senza la sua voce, i suoi articoli, i suoi appelli, le sue lettere. Ci manca. Perché tante volte, in questi 365 giorni così terribili per quella parte del mondo che egli ama, conosce e abita, padre Paolo avrebbe certamente saputo trovare le occasioni e le parole per aprirci gli occhi, per sferzarci, per scuoterci dalla nostra indifferenza e confusione, dalla nostra assuefazione al dolore degli altri e all’orrore. Nell’ultimo anno questo Medio Oriente impazzito ci ha portato nuove tragedie, nuove guerre, nuove crisi umanitarie. Un anno fa parlavamo tutti della Siria. Piangevamo per i bambini siriani, per i profughi, per le distruzioni, per l’uso scellerato delle armi chimiche. A un certo punto sembrava imminente anche un guerra dell’Occidente contro il regime di Assad. Poi si è preferito mantenere lo status quo nel timore di un incendio senza rimedio, peggiore di quello che si voleva spegnere. Intanto il caos si è impadronito dell’Iraq, dove a colpi di bombe avanza l’estremismo dell’Isis, e della Libia, dove ormai i diplomatici occidentali fuggono al grido di “si salvi chi può”. L’Egitto ha avuto i suoi tormenti sulla strada della ricerca di una nuova stabilità. Infine, ed è cronaca di questi giorni, è esplosa Gaza. Così, tramortiti da questo nuovo carico di orrore e dolore, colpevolmente ci siamo dimenticati della Siria. Intanto, in tutto questo caos, i cristiani, quando non vengono cacciati (come è accaduto a Mosul, dopo una presenza ininterrotta di 1800 anni), fuggono prima che sia troppo tardi.
Chissà se padre Paolo, nel suo luogo di prigionia (perché vogliamo crederlo vivo) sa di tutto questo. E chissà quanto gli pesa non farci arrivare la sua parola, non poter comunicare, lui che da uomo libero sapeva farlo così bene. Gli è rimasta solo la preghiera, che sicuramente sta nutrendo i suoi giorni.
Per ovviare al suo forzato silenzio possiamo ritrovare le parole di padre Paolo nei suoi scritti. In questi giorni di ferro e di fuoco è utile rileggere queste righe, dedicate alla civiltà del Mediterraneo: “Questa civiltà è la nostra; non è di certo la sola al mondo, ma essa è chiamata a un immenso sforzo di armonia interiore ed esteriore. È esattamente il contrario della teoria dello «scontro di civiltà» previsto qualche anno fa. Noi ci pensiamo talmente incompatibili! Quando invece la nostra presenza, di cristiani, musulmani ed ebrei, è essenziale per l’autenticità della nostra civiltà”.
* giornalista di Famiglia Cristiana, conduttore di Radio3mondo