Corriere della Sera – Nando Pagnoncelli
La riforma del Senato presenta un elevato valore simbolico non solo perché si tratta della più significativa modifica costituzionale della storia repubblicana ma anche perché rappresenta la dimostrazione che il Paese può realizzare importanti cambiamenti. E la promessa di cambiamento risulta il tratto distintivo del governo Renzi, il ché spiega in larga misura il consenso di cui l’esecutivo gode attualmente. In realtà i contenuti della riforma sono noti solo ad una parte minoritaria degli italiani: solo il 3% dichiara di conoscerli in dettaglio, il 28% a grandi linee, il 33% ne ha solo sentito parlare ma non ne sa granché e il 37% ignora il tema. È un dato che non sorprende, innanzitutto perché da sempre le riforme istituzionali rappresentano un tema ostico, le cui implicazioni sono di difficile comprensione per molti cittadini: non a caso la riforma del Senato risulta meno conosciuta tra le persone meno istruite, quelle meno giovani e le casalinghe. In secondo luogo perché la discussione tra le parti politiche, a tratti molto accesa, induce molti cittadini a non approfondire il tema e a dedicare la propria attenzione ad altri argomenti, a partire da quelli legati alla crisi (occupazione, crescita, protezione sociale). Indipendentemente dal livello di informazione, la riduzione del numero di senatori da 315 a 100, eliminando l’indennità, incontra un consenso pressoché unanime: l’87% degli italiani si dichiara molto d’accordo e il 6% abbastanza d’accordo. È un consenso coerente con i sentimenti di ostilità, ampiamente diffusi nel Paese, nei confronti della politica e dei suoi costi. E un grande consenso accompagna anche il superamento del bicameralismo paritario. La riforma assegna a Camera e Senato funzioni distinte e conferisce alla Camera alta un potere di veto limitato a poche leggi, tra cui quelle costituzionali ed elettorali. A questo proposito oltre due italiani su tre si dichiarano molto (43%) o abbastanza (25%) d’accordo. L’insofferenza per la lentezza dei processi legislativi, in un mondo nel quale tutto è diventato più veloce e nel quale, in ogni contesto, vengono richieste decisioni rapide, spiega in larga misura l’accordo su questo importante cambiamento delle funzioni del Senato. La sintonia con l’opinione pubblica, tuttavia, non riguarda tutti i punti della riforma. Infatti solo un italiano su cinque condivide la proposta che prevede il venir meno dell’elezione dei senatori da parte dei cittadini e conferisce ai consigli regionali il potere di nomina, scegliendo tra i consiglieri e i sindaci, con l’esclusione di 5 senatori nominati dal presidente della Repubblica. Nel complesso tre italiani su quattro (73%) preferirebbero che i senatori continuassero ad essere eletti dai cittadini. È un dato che non sorprende, perché da sempre gli italiani rivendicano il diritto di scegliere direttamente: sono infatti molto favorevoli all’elezione diretta sia del presidente della Repubblica sia del premier. Ma sono favorevoli anche alla possibilità di scegliere i candidati attraverso le elezioni primarie, a sinistra quanto a destra, sebbene in quest’ultima area politica non siano molto praticate. Non è affatto scontato che partecipino alle elezioni (in Italia l’astensionismo è crescente) o alle consultazioni primarie che prevedono la partecipazione «fisica» o telematica, ma l’importante è poter disporre del diritto di decidere. Ma c’è dell’altro: la nomina dei senatori da parte di altri eletti, per di più appartenenti ai consigli regionali che, come sappiamo, negli ultimi anni non godono di buona fama, per le note vicende giudiziarie, oltre ad espropriare i cittadini del diritto di scelta, produce un meccanismo per cui sono i politici a scegliere i politici, generando sospetti e sfiducia. L’iter per l’approvazione della riforma del Senato è ancora lungo e non è dato di sapere quale sarà l’esito definitivo di questo percorso, ma una cosa è certa: gli italiani chiedono minori costi e maggiore efficienza della politica e nel contempo la possibilità di poter decidere. Ma non è detto che le riforme debbano tener conto delle richieste dei cittadini, soprattutto se poco informati.