Sono migliaia le famiglie italiane che hanno tappezzato il mercato immobiliare con le loro strisce di lacrime e dispiaceri. Sono i rassegnati, quando non costretti, a vendere l’alloggetto ereditato dai genitori o acquistato in tempi di doppio mensile per dare il valore “del mattone” ai loro sudati risparmi rosicchiati da pessimi/famelici consigli bancari anni ‘80/90. Ma poi fu la crisi. Oltre a uno dei due coniugi licenziato vanno aggiunte le spese per quel piccolo immobile, sempre più pressanti: vuoi per le condominiali sulle quali, oltre alle straordinarie promosse dall’amministratore per impinguare più tasche, sue comprese, si devono anticipare anche le spese dei condomini sempre più morosi. La rendita d’affitto (e se poi anche l’inquilino è moroso?) non copre quel tutto per seconda casa e così bisogna darla via. Se l’appartamento è in periferia non ci sono acquirenti e i motivi sono ovvi. Se invece è situato in zona comoda, se è grazioso, dotato di confort, allora si può sperare, ma, se siamo fortunati, al prezzo di 20 anni fa. Sempre meglio che non mangiare, giusto? Giusto.
Ma allora perché il nostro parco immobiliare in vendita (cfr. Monti e poi Renzi), il cui valore fu stimato tra i 200 e 300miliardi (!) è ancora invenduto? Forse perché non vogliamo cedere sul prezzo? Come le famiglie di cui sopra, lo Stato non ha soldi per la manutenzione e le spese di gestione e inoltre è strozzato da miliardi di debiti. Piuttosto di lasciare crollare e marcire ciò che ci resta di quel patrimonio sarebbe vitale (ben più che opportuno) anche svenderlo se del caso. Oggi ristrutturare costa enormi fortune e tasse/imposte immobiliari non sono da meno. Può farvi fronte chi ha i contanti, magari pochi sufficienti, però subito: non è il caso del nostro Paese.