Il “file” è stato aperto. Ora tocca scrivere. E ognuno deve fare la propria parte. Ora finalmente, dopo mesi di chiacchiere e schermaglie, vedremo chi è riformatore e chi è conservatore. Anche se temo che i più numerosi saranno i gattopardi. Da anni, l’Usigrai chiede una Rai nuova. E, negli ultimi mesi, anche attaverso momenti di scontro, ha chiesto con forza che il tema entrasse nell’agenda politica e aziendale.
E’ così che abbiamo costretto il vertice aziendale a uscire dall’immobilismo e a mettere in campo un progetto. Finalmente si parla di cose concrete. Il sindacato ha detto con chiarezza che cambiare si può e si deve. Profondamente e radicalmente.
Ma ha sottolineato che un progetto serio può partire solo dal confronto sul prodotto, dalle missioni editoriali. Insomma, quale informazione vogliamo per il futuro? Quale Servizio Pubblico?
L’organizzazione, quindi il numero di reti e testate, è solo conseguenza di questo. Non premessa. Per questo il primo passo decisivo è il confronto con chi il prodotto lo realizza quotidianamente.
Così come l’azienda deve dare inequivocabili segnali di cambio di passo su alcuni elementi decisivi. Per brevità, mi limito qui a citarne uno, certo che non mancherà occasione per parlare degli altri. Basta con il ricorso ai giornalisti esterni. In Rai ci sono 1700 giornalisti tra i quali trovare professionisti formati e da formare per condurre e realizzare programmi di approfondimento.
Ma un elemento che troppe volte sembra sparire dal dibattito è che molti dei mali della Rai sono il prodotto del controllo stretto che il “Palazzo” ha esercitato su Viale Mazzini, e che i “Palazzetti” locali hanno esercitato sulle sedi regionali.
Per questo la prima indispensabile riforma, il primo taglio che va compiuto, è quello netto con governi, partiti e lobby. Ecco perché è urgente che venga caledarizzato subito in parlamento un disegno di legge sulle fonti di nomina dei vertici della Rai e sui conflitti di interesse.
Se non si rompe quella morsa soffocante, qualunque riforma rischia di essere inefficace. O, peggio, rischia di aggravare la situazione. Perché si rischia di accentrare nelle mani del governo di turno o del partito di maggioranza ancora più potere sulla Rai e sull’informazione di Servizio pubblico.
In conclusione, non è in discussione se serva o meno una riforma. O la necessità di superare, ad esempio, una tripartizione fondata su criteri vecchi di 30 anni. Ma solo una Rai politicamente ed economicamente libera può rilanciarsi e rafforzarsi.
Conservare l’esistente non si può. Riformare è indispensabile.
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