Rischia di essere sbattuto in galera per esercizio abusivo della professione giornalistica, chi è ancora senza tesserino di pubblicista e faticosamente sta raccogliendo il numero richiesto di attestati lavorativi ed articoli (regolarmente retribuiti) per iscriversi all’Ordine. Le manette tintinnano anche per lo sfruttato esercito dei giovani apprendisti che aspirano in anticamera al loro posto al sole nei mass-media. Purtroppo, sono flebili o di circostanza le voci di coloro che osano levare la protesta contro il giro di vite sulle nuove norme liberticide dell’attività di informazione, contenute nel ddl approvato dal Senato e ora al vaglio della Camera. Una miope contraddizione con i tempi delle mutazioni genetiche della comunicazione che allargano gli orizzonti della partecipazione alla vita sociale e allo scambio di idee e di giudizi. Ormai istituzionalmente insofferente a ogni critica dell’opinione pubblica, il Palazzo si è risolto ad inasprire le pene (galera fino a 2 anni!) per chiunque eserciti abusivamente la cosiddetta professione giornalistica, sfuggendo ai rigori di un Ordine anacronistico e fabbrica di disoccupati, e ai timbri e contro timbri della burocrazia statale.
Come se non bastasse il profilarsi di questa altra mannaia sulla libera informazione, l’Ordine, benché depotenziato per legge, sta mettendo in croce i giornalisti, oggi schiacciati fra l’incudine della disoccupazione e il martello della sottoccupazione, con una squinternata pianificazione della formazione professionale continua. E i risultati fanno cadere le braccia: corsi gratuiti per quattro gatti senza più disponibilità di posti, convenzione a cari costi con il mondo sanguisuga degli interessi economici, e di fatto lontano dalle tasche e dai pensieri della maggioranza dei colleghi.