Solo 12 ore di tregua per Gaza. Ieri Israele ha detto no al piano di John Kerry per una tregua più lunga, mentre si infiammava la Cisgiordania. E si ripetevano, purtroppo, atti antisemiti nella vecchia Europa. A me pare evidente come Israele non possa vincere con le armi, come l’opposizione ostinata di Netanyahu alla nascita di uno stato palestinese sposti il conflitto dentro Israele, ne mini le fondamenta, costringa i suoi abitanti a condividere la stessa prigione, sia pure nei ruoli del carcerato e del carceriere. Magari la presidenza italiana avesse il coraggio, e la forza, di promuovere un’assise. Ha ancora senso, chiederei a Israeliani, Palestinesi, Americani, parlare di due Stati, che vivano accanto e in pace? E se no, come e quanto dovrà cambiare Israele? È possibile che diventi uno Stato bii-nazionale, e bi-confessionale, ma democratico?
In Italia ora tocca ai lavoratori dell’Alitalia farsi piacere la minestra araba, perché è la sola che passi il convento. “Scontro tra sindacati. Alitalia torna in bilico” titola la Stampa. “Renzi ai sindacati. Sì a Alitalia – Etihad o 15mila a casa”, Repubblica. Lo so, i sindacati in Alitalia hanno dato uno spettacolo indegno, si sono acconciati a quella porcheria inventata da Berlusconi del no patriottardo ad Air France, hanno incassato il dividendo corporativo di una smobilitazione pagata per anni dalla cassa integrazione, e nascosto la testa sotto la sabbia mentre certi capitani, poco coraggiosi e molto assistiti, fingevano di gestire la compagnia. Però Berlusconi fa il padre costituente, i capitalisti felloni battono cassa: sono l’impresa, loro. E la rottamazione “a muso duro” si pratica ancora soltanto contro le malefatte dei servi e delle etere, che sono stati ammessi alla mensa dei Proci. Ma i Proci la fanno franca
A proposito di malefatte, il Fatto ricorda quelle di un ex Presidente della provincia di Firenze. “Un no per non ridurre le scelte del presidente della repubblica a quello di un notaio che ratifica le scelte altrui, un no per per fermare il progetto che conferisce al premier poteri che nessuno stato democratico prevede e lo rende sostanzialmente inamovibile”. Correva l’anno 2006 e l’appello dei dieci No, alla riforma voluta da Berlusconi, portava la firma di un giovane presidente della provincia di Firenze, Matteo Renzi. Il quale, oggi, dovrebbe fare autocritica. Perché se fossero approvate Riforma del Senato e Italicum, il Presidente della Repubblica si ridurrebbe a meno di un notaio. Con il premio di maggioranza e le liste bloccate alla Camera, e un Senato ridotto a un consiglio di consiglieri regionali nominati dai partiti locali, il Premier avrebbe più poteri che in nessun altro paese di democrazia liberale. Con la cancellazione del referendum elettorale e i regolamenti parlamentari scritti in Costituzione, risulterebbe sostanzialmente inamovibile.
Grasso prova a mediare. Ieri ha concluso il suo appello, durante la cerimonia del ventaglio, con la stessa chiusa del discorso in aula del “dissidente” Corsini: torni il dialogo, ritorni la politica! Quanto a me penso che Matteo Renzi abbia perso la sua battaglia del Senato. Una parte non marginale della pubblica opinione ha compreso che il suo è un atto d’imperio, una soperchieria per nascondere altre e gravissime difficoltà del governo. Ritirerei, in modo unilaterale e senza trattativa, migliaia di emendamenti inutili. Segnalerei il dissenso su pochi punti fondamentali: senato elettivo, riduzione dei deputati, no immunità, stop alle norme anti referendum. E inchioderei il Premier: “sei responsabile – gli direi – della peggiore riforma costituzionale partorita in 70 anni di Repubblica. Come nell’arte della lotta orientale, userei la forza dell’avversario per colpire più forte.