Per favore, manteniamo il senso del ridicolo. Il Corriere della Sera oggi mi sbatte di nuovo in prima pagina: “Ma conta di più Mineo o un consigliere regionale?”. L’interrogativo retorico è attribuito, da Marco Galluzzo, al vincitore delle primarie, segretario del Partito Democratico, Presidente del Consiglio dei ministri e mister 40 per cento, Matteo Renzi. Nel titolone si rincara la dose: “Fronda Pd, affondo di Renzi. No durissimo sul Senato elettivo. Ultimatum alla minoranza”.
Ma vi pare? Sono solo un giornalista il quale, una volta eletto, ha continuato a dire quel che pensava. Sono io il pericolo per l’Italia? Colui al quale non si può lasciare “il paese in mano”, altra intemperanza del Premier? Suvvia, siamo seri per una volta. Se Renzi ha scelto me (con il condimento di Minzolini, diventato la metafora di tutte le colpe della destra, mentre Berlusconi e Verdini sembrano 2 boy scout come Renzi) è forse perché si vogliono nascondere ben altre difficoltà ed errori assai più gravi.
Uno lo indica oggi, dopo che ieri ne aveva già parlato Scalfari su Repubblica, l’occhiello in prima pagina del Corriere della Sera:“Un arretrato di 812 testi attuativi mina l’agenda del governo”. Le leggi si fanno piuttosto in fretta, nonostante il bicameralismo ma poi governo e ministero non riescono a farle funzionare. Il secondo è nel manico: “C’è un cuoco un po’ miope nella cucina delle riforme”.
Il costituzionalista Michele Ainis scrive quello che noi, vil razza pagana o “dissidenti” e perciò inascoltati, andiamo sostenendo da tempo. Che “bisogna trovare equilibrio tra rappresentatività e governabilità”. Spiega il costituzionalista del Corriere: “Durante la prima Repubblica c’era una legge elettorale super proporzionale. Risultato: il massimo di rappresentatività del parlamento, il minimo di stabilità. Ma anche il massimo di garanzie costituzionali”. Ora invece (già adesso!) “diventa fin troppo facile emendare la Costituzione, I presidenti delle Camere perdono il loro abito neutrale perché la maggioranza se li accaparra entrambi”.
Con le riforme in gestazione andrà peggio. Perché “ll combinato disposto fra l’Italicum e il nuovo Senato permette al vincitore di mettere il cappello sul Quirinale. Non va bene, ma basta diminuire i deputati. E magari aumentare i collegi, per consentire all’elettore di conoscere il faccione dell’eletto. Abbassare le soglie di sbarramento, perché l’8% è una montagna. Innalzare il 37% con cui scatta la tombola elettorale: siccome un italiano su 2 marina ormai le urne, quella maggioranza è fin troppo presunta, e dunque presuntuosa. Ecco, la presunzione. È il nemico più temibile, perché nessuno può cucinare le riforme in solitudine.Mentre i 5 Stelle aprono al Pd, mentre Berlusconi offre collaborazione, sarebbe un delitto se il governo vedesse solo il proprio ombelico. Ma dopotutto, basta regalare al cuoco un paio d’occhiali”.
Purtroppo invece di regalare gli occhiali alla Finocchiaro, alla Boschi, a Calderoli e a Verdini, il premier indica un nemico e prova a metterlo alla gogna. Colpirne uno per educarne cento, si diceva quando Matteo non era nato. E chi sono i cento? Ma sapete che ieri tra i senatori del Pd girava un testo tendente a rassicurare: trasformeremo il senato in un assise di consiglieri regionali ma, tranquilli, solo dalla prossima legislatura. Voi senatori “nominati” starete sereni al vostro posto fino al 2018. Ma come? Si cambia la Costituzione per togliere al Senato il voto di fiducia, e però si lascia ancora per tre 3 o 4 anni al vecchio Senato la facoltà di sfiduciare il governo? E tutto solo per trovare tacchini disposti a votare una riforma raffazzonata senza temere di dover finire sulla mensa imbandita per il Natale?
Davvero Matteo, ora basta. Hai una larga maggioranza: da Berlusconi, a Calderoli, ad Alfano, fino alla Finocchiaro. Vota la riforma che vuoi e lascia a Chiti il diritto che Togliatti consentì a Concetto Marchesi, il diritto di dissentire. Temo che resterà un’onta sul tuo pedigree: quella di aver voluto stracciare la Costituzione senza risolvere il problema dei decreti attuativi in arretrato. Di aver travolto “la politica”, tra applausi ed evviva della folla, ma senza fondare nuove e sane e trasparenti regole per il dibattito politico e per la partecipazione dei cittadini. Ma Telemaco è ormai un adulto. Non si lamenti se Ulisse è lontano né si nasconda dietro la tela di Penelope.
Il resto della rassegna, più tardi. Vado ad Agorà estate. A prendermi la dose quotidiana di insulti, a metterci la faccia.